Spazio X

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Numero 4 Giuseppe Mazzotta

"Il cosmo e l'infinito, metafora della vita illimitata"

Si nasce per morire. Come il giorno e la notte, fino all'infinito, siamo preda del nostro destino

Miliardi stelle, di pianeti, di galassie. Mondi sparsi in quel grande contenitore chiamato cosmo, o se preferite universo. E poi? Dove va a finire tutto quanto? Quale muro trovano quegli agglomerati pietrosi, gassosi e lucenti? E se anche cozzassero contro qualcosa, dietro cosa ci sarebbe? Un altro spazio? E poi un’altra parete divisoria? Viviamo nella contraddizione! La più semplice? La vita! Si nasce per morire. Nessuno lo desidera, nondimeno è così da sempre, ammesso che il sempre abbia un senso compiuto. Già, perché ogni giorno ed ogni notte viviamo la nostra finitezza e simultaneamente la nostra rinascita, metafora di illimitatezza.
Ci destiamo al mattino e in quel momento, in un certo qual modo, ha inizio l’esistenza che col trascorrere delle ore comincia a declinare verso la fine. Poi la notte: il regno dell’incoscienza (però il cervello lavora), il territorio dove i sogni forse segnano la sfumatura di una traccia da seguire, indicata forse da una qualche entità o intelligenza superiore. Forse, sempre forse. E poi con l’alba tutto si ripete, uguale e diverso. Certo, se usassimo il linguaggio della scienza, il discorso cambierebbe. Ma soltanto in apparenza, per molti versi. La distanza tra le stelle, ad esempio viene misurata in anni luce. Vale a dire una valutazione di lunghezza equivalente al tratto che si percorre in un anno alla massima velocità possibile: quella della luce, appunto. E già questa considerazione incrina nostri parametri abituali. Ciononostante, restando nel paradosso, anche noi nel nostro piccolo (è proprio il caso di dire così) facciamo altrettanto. Per abbreviare i distacchi ci siamo serviti dei cavalli, delle auto e infine degli aerei, aumentando la rapidità di movimento. Senza contare il pc, i cellulari, e la televisione: mezzi utili per collegare in tempo reale tutti i punti del pianeta. Così lontani così vicini, e probabilmente, chissà magari per nemesi (divina?) assurdamente più soli.
Dunque torniamo al discorso di partenza. Quello sul finito e il suo contrario. Quello sul muro davanti a cui si ferma ogni corpo e la probabilità di una seconda, terza, quarta e chissà quante altre sequenze di pareti (ammesso che esistano) dietro cui si arresta un mondo ma dietro il quale se ne cela un altro. E noi? Cosa siamo noi? Particelle cosmiche all’interno di una dimensione più estesa? Uno spazio di tale smisurata vastità da confondersi con il limiti di un confine strettamente collegato con ciò che chiamano sacro? O luce? O universo? La domanda resterà nel suo alveo segreto per un tempo che ignoriamo. Ma forse una scaglia di risposta c’è. La logica esige la sua parte. L’enigma, sovente risolve il suo stesso quesito, come un serpente attaccato alla coda. Non nel dogma. Ma nella speranza annullata dalla voce implacabile del silenzio: il territorio dove è sepolta la verità ultima della creazione sparsa in miliardi, centinaia di miliardi di tempi e di mondi. Così lontani, così limitrofi. Nei sogni di ciò che fummo. Perdendoci ci ritroveremo!

Ergane, immagine spazio x
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