Spazio X

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Numero 3 Maria Carrassi

La metamorfosi

Storia di un uomo trasformato in calabrone. Per regalare agli altri la felicità

Nel bel mezzo della festa mi trovai attaccato sul soffitto della stanza e quello che più mi colpiva era il fatto che nessuno si accorgesse di me. Stupito cominciai a gridare ma era come se tutti fossero diventati sordi. La musica continuava a suonare e la gente a ballare. Io da sopra quel muro non capivo perché nessuno si accorgesse di me. Anche la ragazza con cui stavo ballando si guardava in giro per capire dove fossi finito, ma non pensava minimamente ad alzare gli occhi verso il soffitto. Io cercavo di chiamarla, di dirle: «guarda che sono qui, attaccato al muro» ma anche lei non rispondeva al mio richiamo. Che fare? Ad un certo punto nella stanza entrò un amico che cercava me, ma nessuno sapeva dire dove fossi. «Ehi, sono qua … Francesco sono qua …», ma niente… non succedeva niente. La serata finì e ad uno ad uno tutti lasciarono la sala.
Non potevo credere ai miei occhi, nessuno che alzasse gli occhi verso il soffitto, mi avrebbero visto e mi avrebbero aiutato a scendere, invece tutti andarono via e le luci si spensero. Cominciai ad aver paura. Non capivo come fossi rimasto attaccato a quel muro.
Ero molto angosciato, pensavo ai miei genitori in pena per non vedermi rientrare ma non potevo fare nulla, piansi fino a quando lentamente gli occhi mi si chiusero e quando li aprì vidi dagli interstizi della finestra trapelare la luce del giorno.
Avrei voluto andare ad aprire quella finestra ma non ce la facevo a scendere, sembrava che qualcuno mi avesse attaccato con la colla.
Non mi rassegnavo, cominciai a spingere i piedi e a tirare, tirare indietro puntando i piedi sul muro, tirai tanto e finalmente riuscii a staccarmi e, cosa imprevista, mi accorsi che non precipitavo sul pavimento ma che riuscivo a mantenermi in aria: incredibile, non credevo ai miei occhi, riuscivo a volare.
«Che bello» mi dissi «ora potrò muovermi come meglio credo. Ma bisogna aspettare che qualcuno apra la porta».
Passarono alcune ore, poi finalmente quella porta si aprì. Provai a segnalare la mia presenza ma anche questa volta il tentativo fallì. Deluso, in volo, mi allontanai.
Come prima cosa mi diressi verso casa dove trovai i miei genitori in pena: non era mai accaduto che io non tornassi a casa la sera. Fosse stata anche l'alba io a casa ero sempre tornato. Provai a farmi sentire ma la mia voce non usciva, sembrava il ronzio di un calabrone, incredulo mi avvicinai a mia madre e provai a baciarla ma lei con un gesto della mano mi mandò via. Rimasi perplesso. “Mia madre, perché?”.
Cercai allora uno specchio e compresi la mia triste realtà.
Qualcuno ma non saprei come e chi mi aveva trasformato in un calabrone.
Questa constatazione mi rese molto triste, andai in quella che era stata la mia stanza, i miei quaderni, il mio tablet, tutto era al suo posto, tutto era in ordine, rimasi fermo sulla mia scrivania a pensare cosa potessi fare.
In quel mentre entrò mia madre che vedendomi lì fece di tutto per mandarmi fuori, quando vidi che andava a prendere una bomboletta di insetticida, scappai via nella consapevolezza che non avevo più una casa. Non potevo più comunicare con loro per via del mio nuovo stato, né con altri. Nessuno poteva riconoscermi. Mi sentivo perduto… “Sapessi almeno chi si è divertito a farmi questo scherzo” pensavo.
Tristemente mi allontanai da casa e volai via lontano. Ad ogni costo dovevo cercare di capire perché ero diventato un calabrone. Fermo sul pennone di una nave ascoltai i discorsi dei marinai, così scoprii che la polizia mi stava cercando perché i miei genitori avevano denunciato la mia scomparsa.
La cosa mi intrigava, la preoccupazione dei miei genitori mi fece capire quanto stessero soffrendo per me, quanto mi volessero bene, avrei voluto essere con loro ed abbracciarli. Mi scese una lacrima. Trovarsi in situazioni così strane non è da tutti, situazioni assurde, impossibili anche da ipotizzare.
Ormai quel pennone era diventato la mia residenza abituale. Spesso mi fermavo ad ascoltare cosa si dicesse della mia scomparsa.
Tra le tante cose sentii parlare di uno scienziato che aveva fatto una clamorosa scoperta che voleva perfezionare per comunicarla al mondo. Il suo intento era di aiutare l'umanità a guarire dalla tristezza. Pensai che sarebbe stato bello trovare quello scienziato, forse lui avrebbe potuto salvarmi, restituendomi la mia vera natura.
La meta della nave, sul cui pennone ero ormai di casa, era la foresta amazzonica.
Per tutto il tempo della traversata restai in ascolto di novità.
Mi avvicinavo a chi avesse un giornale tra le mani, o quando era accesa la radio, in modo da essere aggiornato sugli eventi che mi riguardavano.
Lì, lungo il Rio delle Amazzoni, trovai tanti calabroni come me; mi sentii in certo qual modo rincuorato, finalmente potevo dialogare con qualcuno e così seppi che uno scienziato aveva fatto un esperimento riducendo me ed altri esseri umani allo stato di calabroni a scopo sperimentale.
La scelta delle persone non era stata casuale ma, tra tutte le persone esistenti sul pianeta, terra aveva cercato persone con una particolare proteina presente nella molecola del dna.
Lavorando su quella proteina, tutti gli esseri umani con tale caratteristica erano stati trasformati automaticamente in calabroni.
Questa informazione ben presto giunse a conoscenza di tutti i calabroni lì presenti, così decidemmo di riunirci in assemblea dove si prese la decisione di cercare quello scienziato, per fargli fare una contro-operazione.
Ma dove trovarlo? Durante uno dei nostri incontri sulle sponde del Rio delle Amazzoni, al centro della foresta, mentre cercavamo di mettere in atto una strategia, ad un certo punto vedemmo crollare degli alberi secolari. Cosa stava accadendo?
In più ci avvicinammo in volo e vedemmo un grande robot impegnato a sradicare degli alberi. Curioso più degli altri, mi avvicinai al robot e attraverso una fessura della sua maschera vidi che non si trattava di un vero robot ma che all'interno della corazza metallica, c'era un uomo che lo azionava.
Felice comunicai subito ai miei compagni di sventura quello che avevo visto e ipotizzando che quell'uomo poteva essere lo scienziato, tutti d’accordo decidemmo di non perderlo di vista.
Lo osservammo e vedemmo che, dopo aver sradicato alcuni alberi, aveva tagliato delle radici affioranti dal terreno e le aveva messe in un cesto e si era poi allontanato portando con sé il cesto.
Ci incuriosì la cosa, ma quel suo modo di fare ci aveva fatto pensare che veramente poteva trattarsi dello scienziato ricercatore che stavamo cercando.
Lo seguimmo a distanza fino a che non giunse in una radura, nella foresta e si liberò dalla corazza metallica che lo ricopriva e lo rendeva simile ad un robot, la ripose in una casupola disabitata lungo il fiume, quindi andò via sulla sua auto.
L'auto procedeva a grande velocità e facemmo fatica a raggiungerlo.
Così per paura di perdere le sue tracce decidemmo che una parte di noi aspettasse il suo ritorno nella casupola, mentre il restante di noi avrebbe tentato di individuare la sua abitazione. Fallito questo tentativo, decidemmo tutti di aspettarlo nella foresta.
Dopo due giorni, come previsto, tornò. Allora tutti d’accordo lo circondammo.
Una fragorosa risata ci accolse: «Vi aspettavo!» disse. «Sei tu allora il bastardo che ci ha ridotto così. Ridacci la nostra forma umana o non avrai più pace». «Ad una condizione» rispose «che voi prima mi facciate portare a termine l'esperimento». «Sarebbe?». «Nella radice degli alberi che ho sradicato è nascosta una sostanza capace di salvare il mondo. Quella sostanza è molto affine a quella contenuta nella vostra sacca, dove al posto del normale veleno che c'è nei normali calabroni, voi avete un siero che è il segreto della felicità. Che cosa intendo dire. Le persone tristi, annoiate, depresse, pessimiste nelle quali avrete iniettato la sostanza delle vostre sacche guariranno dalla loro tristezza e vivranno una vita in allegria. Capite ora perché voi potete regalare la felicità? Chi di voi accetta di aiutarmi in questo esperimento riprenderà la sua forma umana, gli altri resteranno per sempre dei calabroni. C'è troppa infelicità nel mondo, con il vostro aiuto riuscirò a portare la gioia al mondo. Ma questo è da verificare, perciò sparpagliatevi per il mondo, pungete chi vedete triste e sconsolato e poi notate l'effetto ed il suo sviluppo nel tempo, dopo la puntura. Tornate con dati precisi e riprenderete la vostra forma umana. Se l'esperimento riesce, allora dalle radici tagliate possiamo creare un siero simile a quello contenuto nelle vostre sacche e non ci sarà più bisogno del vostro intervento. Basterà una fialetta per guarire una persona dalla depressione e dall'infelicità. Per voi non c'è altra via: solo io posso riportarvi allo stato primario».
Noi calabroni ci guardammo in viso. Eravamo tutti contenti di portare felicità al mondo e senza esitazione accettammo il patto. L'idea di restituire il sorriso ad un mondo così sofferente ci rallegrava. «E allora andate» disse «e riportatemi i risultati, mentre io metto a punto una mia intuizione la cui formula potrà produrre un siero simile a quello contenuto nella vostra sacca».
Ognuno prese una sua via alla ricerca delle persone infelici. Anche io feci del mio meglio. Quando tornai dallo scienziato gli raccontai meraviglie. Avevo lasciato dietro di me gioia e felicità là dove avevo trovato lacrime e tristezza. Sorrisi quando mi vidi nuovamente uomo. Ringraziai di cuore lo scienziato, nonostante la sofferta trasformazione, perché in fondo ci aveva permesso di essere utili all'umanità.
Mentre andavo via lui mi disse: «Ricorda che ora sei uno dei nostri. Tieniti pronto a tornare se avrò ancora bisogno di te».
Gli sorrisi: «Tranquillo, chiamami ed io verrò».

Ergane, immagine spazio x

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