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Numero 6/2017 Gabriele Puscio

Il vino, la sua produzione, l’uva e la vendemmia

Quando si dispone di uve di qualità, l'unica preoccupazione è quella di lavorarla in modo corretto, limitando quanto più possibile di peggiorare la qualità originale.

Prima di iniziare l'avventura della produzione del vino casalingo, è opportuno fare una doverosa premessa relativamente ad alcuni concetti che saranno parte dei nostri articoli dedicati all'enologia, consapevoli che quanto stiamo per dire potrebbe anche deludere o non trovare d'accordo alcuni dei nostri lettori.
Nei nostri articoli parleremo anche di chimica e del suo uso in enologia, poiché il loro legame è talmente stretto - oltre che utile - che sarebbe ipocrita trascurare o denigrare l'uso della chimica nella produzione e nel controllo dei vini. In fin dei conti, il vino è indiscutibilmente il risultato di una serie di fenomeni chimici, a partire dalla fermentazione, pertanto anche se non si ricorre all'uso della chimica, lo farà in buona parte il vino per conto proprio.
È doveroso precisare che l'uso della chimica è condivisibile solo quando è utilizzata nella misura indispensabile alla produzione di un vino genuino, limitando quanto più possibile i difetti e svolgendo l'utile e indispensabile ruolo di prevenzione e profilassi. Assolutamente deprecabile - e per niente condivisibile - quando la chimica è utilizzata con lo scopo di adulterare il vino, ancor peggio quando questa provoca disturbi all'organismo. La chimica è certamente utile ma non è un gioco: è sempre e comunque opportuno usarla solo nella misura strettamente necessaria.
Probabilmente sarà capitato a tutti di assaggiare un vino casalingo accompagnato dalle immancabili parole del produttore che, con orgoglio, sottolineano il fatto che il suo vino è assolutamente genuino e al quale «non è stato aggiunto niente», come se questo fosse garanzia di un nettare eccelso. Pur comprendendo l'orgoglio e il piacere di offrire un vino prodotto in proprio con impegno, passione e convinzione, molto spesso accade di trovarsi nel bicchiere un vino che è al limite della bevibilità, perfino disgustoso, con difetti grossolani e gravi che una migliore prevenzione e cura avrebbero potuto evitare. La causa più probabile è che in quel vino non è stato aggiunto niente e non si è fatto niente per prevenire ed evitare i difetti.
Quello che vogliamo fare comprendere è che un buon vino nasce - innanzitutto - dalla disponibilità di una buona materia prima: l'uva. Per produrre un buon vino, l'uva, e quindi il mosto, devono essere rovinati il meno possibile, prevenendo le inevitabili reazioni chimiche negative che si verificano - naturalmente o in presenza di determinati fattori - dalla pigiatura all'imbottigliamento. La chimica, ovviamente usata in modo opportuno in enologia, deve servire esclusivamente a questo: ad assicurare l'integrità del mosto e del vino, prevenendo quanto più possibile lo sviluppo di difetti e malattie, garantendo nel contempo una migliore e fondamentale igiene, presupposto indispensabile per la qualità.

Come già detto, per ottenere un buon vino è indispensabile avere a disposizione, prima di tutto, uve di qualità. Quando si dispone di uve di qualità, l'unica preoccupazione è quella di lavorarla in modo corretto, limitando quanto più possibile di peggiorare la qualità originale. Questo spiacevole inconveniente accade inevitabilmente quando non si ricorre alle opportune misure di profilassi e prevenzione.
Ricordiamo ancora una volta che il vino è il risultato di una serie di processi chimici complessi, positivi e negativi ai fini della qualità, ed è pertanto opportuno limitare e prevenire quelli negativi favorendo invece quelli positivi. Se è vero che un'uva di qualità può essere solamente peggiorata, non è vero invece il contrario: un'uva di cattiva qualità non può essere migliorata né si può pretendere di ottenere da questa un buon vino. Il vecchio adagio che recita “il vino nasce prima di tutto in vigna e poi in cantina” costituisce una verità indiscutibile. Inoltre, disporre di uve di qualità - integre, esenti da difetti e muffe - non solo significa ottenere un vino migliore, ma anche ricorrere in modo limitato e inferiore alla chimica. La determinazione del periodo di vendemmia dipende fondamentalmente da due fattori principali: lo stato di salute delle uve e in particolare la presenza di muffe; il tipo di vino che si desidera produrre. Solitamente si decide il momento della vendemmia quando si ritiene l'uva sufficientemente matura o quando raggiunge il massimo grado di maturazione espresso dal suo contenuto in zuccheri. Questa condizione è raggiungibile solamente nel caso in cui le uve siano perfettamente sane, poiché nel caso di presenza di muffe negli acini, il loro sviluppo compromette la qualità e la salute dell'uva, costringendo ad anticipare la vendemmia. Più complesso invece il controllo della maturazione dell'uva, poiché è necessario svolgere delle analisi sulla quantità dei principali componenti in funzione del tipo di vino da produrre. Le condizioni tipiche della produzione casalinga del vino non prevedono, generalmente, la disponibilità di attrezzature tali da consentire un'analisi accurata dell'uva - e in particolare dell'acidità - prima di procedere al suo raccolto. Il tipo di esame che si esegue in questi casi - e che rappresenta un esame fondamentale - riguarda la quantità di zuccheri, una misurazione sufficiente a stabilire il momento della vendemmia nella produzione casalinga del vino.
Al momento della vendemmia è importante che l'uva possieda il migliore equilibrio fra i suoi componenti essenziali rappresentati dagli zuccheri, acidi e sostanze coloranti. Durante il processo di maturazione, nell'uva si verificano i seguenti fenomeni:
• aumentano gli zuccheri
• diminuiscono gli acidi
• aumentano le sostanze coloranti
• aumentano gli aromi

Il migliore equilibrio non è sempre rappresentato dalla condizione che si verifica al massimo grado di maturazione, cioè dalla quantità massima di zucchero possibile. Ci sono alcuni casi nei quali è preferibile mantenere un grado di acidità più elevato, come nel caso dei vini base per la produzione di spumante, o nel caso di particolari uve i quali vini risultano più gradevoli quando il carattere dell'acidità è apprezzabile, come il Sauvignon Blanc. Inoltre, è bene ricordare che l'acidità offre un buon supporto alla percezione degli aromi e, non da ultimo, rappresenta un requisito fondamentale per i vini bianchi. Considerando esclusivamente la produzione di vini bianchi e rossi, a titolo di esempio, si possono definire questi tre casi generici:
• per un vino bianco secco, con buona acidità di supporto per gli aromi, è opportuno vendemmiare l'uva poco prima del suo grado massimo di maturazione. L'esame dell'acidità totale è pertanto determinante ai fini della scelta del periodo di vendemmia
• per un vino bianco morbido, con buon grado alcolico e colore, è opportuno vendemmiare l'uva all'apice della maturazione, in modo da assicurare la più alta quantità possibile di zuccheri. L'esame della quantità di zuccheri è quindi determinante ai fini della scelta del periodo di vendemmia
• in linea generale, per i vini rossi si preferisce vendemmiare l'uva quando questa raggiunge l'apice della maturazione e del contenuto in zuccheri. Questa condizione assicura infatti una maggiore quantità di sostanze coloranti, una minore acidità e un maggiore sviluppo di alcol

Qualunque sia il tipo di esame da effettuare sull'uva per la determinazione del periodo di vendemmia, è indispensabile la preparazione di un campione rappresentativo e statisticamente affidabile. Poiché la determinazione si basa sull'esame di campioni raccolti a distanza di qualche giorno l'uno dall'altro, è opportuno trascrivere i risultati delle singole analisi in modo da poter disporre di elementi fondamentali per il confronto. Gli acini di uva, dai quali si ricaverà il mosto da analizzare, saranno raccolti da uno o più filari, da viti diverse, evitando possibilmente i filari esterni. Per ottenere una misurazione affidabile, saranno sufficienti circa 250ml di succo d'uva. Si farà attenzione a scegliere gli acini di uva da grappoli collocati nelle diverse parti della pianta e con esposizioni diverse. Gli acini sono quindi pigiati, preferibilmente con un piccolo torchio, in modo da ottenere un succo contenente tutti gli elementi principali in quantità rappresentativa e significativa.
A tale proposito, è bene ricordare che una pigiatura leggera produrrà un succo ricco di zuccheri e povero di acidi. Si pone quindi il mosto così ottenuto in una provetta, o in un vasetto di vetro pulito, e lo si lascia decantare per qualche minuto così da consentire alle parti solide di depositarsi sul fondo. Alternativamente lo si può filtrare usando poco cotone idrofilo.
La determinazione degli zuccheri, oltre a conoscere il grado di maturazione dell'uva e quindi il periodo della vendemmia, consente di determinare anche la quantità di alcol probabile al termine della fermentazione alcolica. La determinazione degli zuccheri in un campione di mosto può essere effettuata in due modi diversi ed entrambi facilmente realizzabili nella produzione casalinga del vino. Il primo metodo consiste nell'utilizzo di un densimetro, di cui il più comune è il mostimetro di Babo. Poiché la densità di un liquido varia in funzione della temperatura, è opportuno conoscere la temperatura di riferimento sulla quale è stato tarato il densimetro. Solitamente la temperatura di riferimento è di 20° C, pertanto la misurazione di un mosto a temperature diverse da quella di taratura produce un risultato che necessita di opportune correzioni. Per ottenere la giusta misurazione, si aggiunge o si sottrae 0,06 per ogni grado in eccesso o in difetto rispetto a 20° C. La misurazione si effettua riempendo la provetta del densimetro con il campione da misurare, inclinandola così da evitare la formazione di schiuma, fino a colmarla e si misura la temperatura. Si introduce quindi l'asta del densimetro in modo da fare traboccare il mosto in eccesso e facendo attenzione a non fare toccare l'asta sul bordo della provetta. La lettura si esegue leggendo il valore della scala relativa al punto di galleggiamento nella superficie.

Il valore letto dal mostimetro si riferisce al cosiddetto grado “Babo”, dove ogni grado corrisponde a 10 grammi di zucchero per ogni 1000 grammi di mosto. Per calcolare la quantità di alcol probabile dopo la fermentazione alcolica è sufficiente sottrarre 4 dai gradi Babo e moltiplicare per 0,85 in caso di vini bianchi, 0,80 in caso di vini rossi.
È bene ricordare che questo è comunque un valore approssimativo. Il secondo metodo per la determinazione degli zuccheri in un mosto prevede l'uso di un rifrattometro, che ha il vantaggio di offrire un risultato più affidabile rispetto al densimetro poiché non alterato dalla densità delle altre sostanze solide presenti nel mosto oltre allo zucchero. Inoltre, il rifrattometro consente una misurazione più pratica e immediata, richiede poche gocce di mosto, pur tuttavia considerando che, per ottenere una misurazione attendibile, queste devono essere prelevate da un campione significativo, come spiegato sopra.
Il rifrattometro portatile, che consente anche di effettuare misurazioni direttamente in vigna, fornisce generalmente valori in gradi Brix, Babo e Oechsle, grazie alla presenza delle tre relative scale. I rifrattometri sono in genere tarati alla misurazione di campioni a una temperatura di 20° C, tuttavia i modelli più moderni e diffusi provvedono automaticamente a eseguire le opportune correzioni in base alla temperatura, fornendo quindi un valore direttamente utilizzabile. La misurazione con il rifrattometro si esegue aprendo lo sportellino posto sopra il prisma, si depositano tre o quattro gocce di mosto, quindi si richiude lo sportellino facendo attenzione che questo aderisca perfettamente e che le gocce di mosto siano distribuite uniformemente. Per ottenere una misurazione più accurata, è opportuno attendere circa 30 secondi così da consentire al mosto di raggiungere la stessa temperatura del rifrattometro.
A questo punto si pone il rifrattometro contro una sorgente luminosa naturale e si legge il risultato guardando direttamente dall'oculare, operando le opportune correzioni di messa a fuoco per mezzo della ghiera, proprio come si farebbe con un cannocchiale. Prima e dopo la misurazione di ogni campione, è indispensabile pulire il prisma e lo sportellino del rifrattometro con acqua distillata, asciugando bene con un panno di cotone.
Le misurazioni dei campioni si effettuano ogni due o tre giorni, annotando con cura la data e il risultato dell'esame. Indipendentemente dal metodo di misurazione utilizzato, si procederà con la vendemmia quando i valori dell'ultima misurazione sono uguali a quelli dell'ultimo esame. Questa condizione indica infatti il raggiungimento della maturazione dell'uva, cioè la maggiore quantità di zuccheri e di acidi, ricordando che, con il procedere della maturazione - e quindi anche della sovrammaturazione - gli acidi diminuiranno a svantaggio dell'equilibrio generale del mosto. Una buona abitudine è quella di mantenere un archivio delle misurazioni con lo scopo di confrontarle negli anni successivi: un utile riferimento sull'andamento del proprio vigneto.

La regola “un buon vino si ottiene a partire da una buona uva” deve essere seguita scrupolosamente anche durante le operazioni di raccolta. Questo significa che l'uva deve giungere in cantina integra e sana, facendo attenzione a non schiacciare i grappoli con la conseguente uscita del succo dagli acini. La raccolta viene effettuata con le apposite forbici, tagliando i grappoli dal peduncolo e adagiandolo in un piccolo cestello di raccolta. Il cestello è quindi svuotato in piccole cassette contenenti 15-20 chili, in modo da non schiacciare i grappoli sul fondo per effetto del peso di quelli in superficie. Durante il raccolto si farà attenzione alla qualità dei grappoli, scartando quelli attaccati dalla muffa, o comunque con evidenti difetti, così da non contaminare il mosto e quindi il vino. Le cassette saranno infine trasportate in cantina dove l'uva sarà successivamente pigiata e diraspata, ricavando il mosto che diventerà il vostro vino.

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