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Numero 5/2017 Diego Parravano

Bottiglia in PET: perché sbarazzarsene sta diventando una priorità

Ma l'impatto del PET sull'ambiente va al di là di quanto è visibile ad un primo esame

a storia della bottiglia in plastica parte da molto lontano. Precisamente nel 1941, anno in cui viene brevettato il polietilene tereftalato (PET) ad opera di due chimici britannici. Questo materiale, nato sotto l'infausto clima della guerra, venne poi impiegato nell'industria tessile negli anni successivi, offrendo tanto praticità quanto riduzione dei costi di produzione. Quest'impiego è in qualche modo rimasto nel settore, specie se si considera la diffusione del pile.

Si deve aspettare il 1973 perché il PET entri nell'industria alimentare, rispondendo benissimo al bisogno di imbottigliare acqua e bevande gassate senza rischio di esplosioni. Nathaniel Wyeth, ingegnere originario del Maine, vide nel PET il materiale perfetto per offrire al largo consumo un prodotto facilmente trasportabile, pratico e a basso costo. Inoltre, la bottiglia in PET poteva essere trasparente, offrendo al consumatore un bene di consumo molto più allettante e meno artificiale.

Da allora la bottiglia in plastica è entrata prepotentemente nella nostra quotidianeità, facilmente reperibile in (quasi) ogni angolo del globo e, purtroppo, spesso gettata e lasciata alla mercé degli agenti atmosferici. Se si pensa a quanto recente sia l'impiego del PET a scopo alimentare e quanto grande sia l'impatto che già ha lasciato sul pianeta, appare evidente che è interesse di tutti trovare una soluzione in termini di sostenibilità ambientale.

Per avere un'idea circa le dimensioni di questo consumo, si prenda in considerazione la quantità d'acqua in bottiglia consumata in Italia nel solo 2016: ben 12Mld di litri. Il belpaese detiene il primato europeo di consumo di acqua imbottigliata pro capite ed è prima al mondo se si escludono le nazioni prive di accesso ad acqua potabile. Tutto ciò nonostante il territorio nazionale pulluli di sorgenti naturali e, a discapito del comune pregiudizio negativo, le acque sgorganti dai rubinetti debbano sottostare ad elevati standard qualitativi. Proprio l'acqua del rubinetto è stata spesso additata come eventuale alternativa al consumo di bottiglie in PET e ci sono alcuni numeri a sostegno. Tra questi il costo ridotto ad un millesimo rispetto alla controparte proveniente dal negozio e i risultati di diversi blind test che hanno riportato una maggiore preferenza verso l'acqua del rubinetto (a confronto con diverse acque imbottigliate). Ciò nonostante, le previsioni per il prossimo quinquennio prospettano un aumento progressivo dei consumi di PET, mettendo seriamente a rischio l'ecosistema del pianeta.

Studi di recente pubblicazione hanno evidenziato come le microplastiche siano quasi onnipresenti nella dieta della fauna marina, tanto da finire nello stomaco del 90% dei volatili che fanno del mare il proprio habitat. Le modalità con cui questa plastica arriva negli oceani sono diverse: ad esempio tramite le infiltrazioni nel terreno, procurate dalle pioggie che trascinano con sé detriti di plastica nel suolo (specie in zone dove sono presenti discariche).

Ma l'impatto del PET sull'ambiente va al di là di quanto è visibile ad un primo esame.

Si deve tenere in considerazione anche tutto ciò che concerne la logistica del mercato dell'acqua in bottiglia, con processi di produzione e trasporto che vanno ad incrementare le già consistenti emissioni di CO².

Come detto, un primo passo potrebbe consistere nel maggior consumo di acqua corrente, facilmente reperibile e virtualmente a chilometro zero. Nel caso ci siano dubbi circa la qualità dell'acqua del rubinetto è sempre possibile effettuare test presso enti locali appositi.


Per avere una panoramica sul business del PET e il suo impatto sull'ambiente, con numeri e grafici, si può visionare lo studio recentemente pubblicato da TradeMachines, concepito per sensibilizzare i propri utenti su questa tematica.

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