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Numero 5/2017 Stefano Mele

La “vocazione impopolare”. Una stoica e imperturbabile attitudine dell’intelletto umano

Introdurre un discorso di carattere filosofico quasi mai risulta agevole; potrebbe apparire vanaglorioso e comportare molteplici rischi. Di frequente, risulta pretenziosa la condotta di chi genuinamente, quasi ingenuamente propende alla meditazione, alla critica, all’indagine piuttosto che alla frivolezza di giudizio ed alla sintesi grossolana e convenzionale; aspetti che, tendenzialmente, suscitano maggiore simpatia ed ancor più consensi.
I rischi sono tanti, perché lo spazio per la pura riflessione (a mio parere non meno solida di qualsiasi altra attività) è ridotto a una sorta di "riserva", un recinto entro il quale confinare impopolari ed improbabili pensatori, ai quali concedere al massimo un livello di sussistenza esistenziale e culturale; ed il tempo da concedere a tali questioni rappresenta una superflua, quasi certamente dolorosa interruzione di una noncurante esistenza, per quelle menti assuefatte alle vanità quotidiane. Del resto sarebbe frustrante nei suoi esiti suggerire all’umanità di “rallentare per contemplare”, di passeggiare ogni tanto per godere di taciute ed inattese meraviglie, piuttosto che affrettarsi nella consuetudinaria, frenetica, obbligata corsa agli obiettivi.
Nonostante tutto, a dispetto delle avversità del caso, questo ambito di riflessione non può non trarre la propria forza vitale da una pura e autentica passione per il sapere, una passione che non necessariamente ricade su se stessa, facendo della filosofia un mero sinonimo di "regno dell'astratto", ma si dilata in ogni direzione nella vita dell'uomo. Ritengo dunque doveroso impegnare parte delle mie energie nel modesto tentativo di sostenere quella preziosa predisposizione dell’animo al filosofare puro e disinteressato (ma non per questo meno efficace!), la quale può condurre ad intravedere e cogliere a pieno, nel fitto tessuto dell'esistenza, quei punti di contatto, convenzionalmente considerati utopistici, tra spirito e materia, tra pensiero ed azione, tra idealismo e pragmatismo, i quali possono contribuire ad elevare non soltanto lo scibile, ma tutta l’esistenza umana nella sua pienezza, anche nei sugli esiti tangibili.
È opportuno avvertire che l'intento è ben lontano dall'apologia e dal fanatismo, e dal giustificazionismo a tutti i costi: sarebbe superfluo e presuntuoso tutelare la filosofia o, per meglio dire, il metodo filosofico dalle critiche, dalle accuse o addirittura dal biasimo; e non accettare l’incombenza di tali pericoli estromette in partenza dall’impegno di cui storicamente il filosofo si è fatto carico.
"Da un grande potere derivano grandi responsabilità": così l'amorevole zio Ben ammoniva il nipote Peter (alias Spiderman), destinato a sopportare il fardello che le proprie straordinarie capacità gli avrebbero procurato, piuttosto che trarne beneficio personale. Con qualche forzatura, l'esempio qui evocato può offrirsi come metafora dell'eroe-filosofo, il cui onere è resistere agli attacchi derivanti dai tempi (a maggior ragione nella nostra contemporaneità, con i modelli che essa offre), sfondare i blocchi posti dall'oscurantismo e dalla ristrettezza, schivare le insidie alle quali irrimediabilmente egli è esposto.
Addentrarsi in questa dimensione significa necessariamente e preliminarmente superare i limiti imposta a sé stessi, per provare poi a sfondare le barriere oltre le quali giacciono la struttura, il fondamento e il principio delle cose; porsi costantemente al di fuori della singola prospettiva; essere capaci di scrutare le innumerevoli proiezioni con le quali l’essenza del conoscibile si manifesta e, soprattutto, accettare che questa indagine non giunga mai ad una conclusione definitiva, al tanto agognato traguardo, poiché lo spirito più elevato non si muove soltanto per raggiungere il punto B dal punto A; si muove per l'incontaminato piacere di farlo, senza con ciò negare l'importanza di quel legittimo (seppur transitorio!) godimento, che siamo soliti definire "obiettivo".
Questa tensione è costante, necessaria, voluta. Negandosi quella umana illusione secondo la quale esista una condizione esistenziale finale e definitiva da raggiungere, sede del chimerico scopo della nostra esistenza, meta vagheggiata della ricerca di qualcosa che siamo soliti definire “felicità”, l’amore nei confronti di questo stato tensivo, è un amore che si nutre fatalmente di se medesimo.
Un limpido “amore per la sapienza”.

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