Spazio X

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Numero 5/2017 Angela La Fortezza

La via delle stelle. Insolite sinergie per una lettura dell’evoluzione dell’umana esistenza

C'era una volta un re piuttosto anziano, dai capelli sale e pepe e dalla lunga barba bianca. Egli aveva due occhi grandi e profondi che scrutavano nell'infinito; era un uomo buono e giusto, che tutto vedeva, intuiva e sapeva. Egli abitava nel regno delle stelle ed il suo reame era costituito da un territorio vasto e sconfinato, fatto di vuoto e di buio. Il suo palazzo era collocato al centro del firmamento, in una zona chiamata sistema solare. Era fatto tutto d'oro e scintillava di una così grande luce tanto che i suoi sudditi lo avevano chiamato Elios, “Tuttaluce”, a simboleggiare propria la forza vitale e l'energia che da esso emanava. I suoi cortigiani ed i sudditi del Reame abitavano tutti intorno ad Elios: alcuni su Hermes, altri su Venus, altri ancora su Gea, su Mars, eppoi ancora su Jupiter, su Kronos, su Poseidon ed infine su Efesto.
Il sistema solare era però un puntino all'interno dello sconfinato universo fatto di vuoto e di buio ed il Signore delle Stelle si sentiva molto solo. Quando il suo volto scrutava nella vastità sconfinata del firmamento alla ricerca di qualcosa - per quanto guardasse in lontananza - riusciva a vedere solo vuoto e buio e ciò lo rendeva mesto e triste. Egli si preoccupava, inoltre, di dare ai suoi sudditi, uomini e donne di buona volontà, tutto ciò di cui avevano bisogno per affrontare i misteri della notte eterna.
Il Signore delle Stelle era anche un grande artista, amava dipingere e creare con le sue imponenti mani. Così un giorno ebbe un'idea bellissima ed annunciò: “Farò un viaggio nel mio regno, che durerà 12 giorni. Ogni nuovo giorno mi fermerò in un punto a dipingere, per abbellire il buio”.
E così di buon'ora il giorno successivo partì in sella al suo magnifico destriero pezzato di verde e di azzurro. Quando fu stanco si fermò, si rinfrancò un attimo e cominciò a dipingere. Creò così il primo dipinto che raffigurava un animale dal vello di lana screziata d’oro e dalle corna arrotolate, che egli chiamò Aries. Il Signore delle Stelle provò una grande gioia nel contemplare la bellezza della scena, al punto che desiderò darle vita. Gli alitò sul volto e l'animale cominciò a muoversi ed a correre all'impazzata.
Aries era un giovane montone che prendeva la vita con entusiasmo, con energia ed irruenza, l’irruenza dell’incoscienza. Si buttava sempre a capofitto per primo in tutte le situazioni, ma era incostante nel portare avanti i suoi progetti. Amava l’avventura e l'esplorazione; non accettava però di buon grado di avere delle regole e di sottostare all'autorità del re, il quale dal canto suo faceva una gran fatica a domarne l’impeto ed il desiderio di conquista.
Il giorno successivo il sovrano partì alla volta di un nuovo territorio da animare, si fermò in un punto e incastonò nel cielo un bellissimo ritratto. Anche questa volta si trattava di un animale, ben più grande e possente del primo, che egli chiamò Taurus. Il Signore delle Stelle vide che era cosa buona, gli alitò sul volto e gli diede vita.
Taurus, a differenza di Aries, era un animale solido, paziente, resistente e tenace nel perseguire gli obiettivi. Era molto lento, metodico, capace di riflessione e concentrazione.
Introverso, ma affettuoso, era molto protettivo nei confronti di chi amava ed attaccato alle cose materiali. Il re doveva dominarne l’ingordigia e la persistenza, stimolandolo ad essere più mobile e creativo.
Il terzo giorno il Sovrano ricominciò il suo viaggio nel firmamento del cielo; quando fu stanco, si fermò e prese a dipingere un nuovo scenario: questa volta si trattava di due bambini, posti l'uno affianco all'altro e, poiché si assomigliavano in tutto e per tutto, egli li chiamò Gemini. Incoraggiato dall'armonia del dipinto, Il Signore delle Stelle alitò sul volto dei due bimbi, diede loro vita ed essi cominciarono a giocare allegramente tra loro.
Gemini erano due gemelli piuttosto esili e vivaci, in continuo e veloce movimento. Erano due bimbi curiosi ed intelligenti, due grandi osservatori che amavano parlare, raccontare storie, divertirsi giocando con gli altri bambini ed erano soliti fare più cose contemporaneamente. Erano tanto vitali, capaci di imparare presto, ma a volte concludevano poco. Passavano da uno stimolo all’altro, da un’attività ad un’altra, senza - tuttavia - riuscire a portare a termine i loro progetti. Il re faceva fatica a contenere la loro loquacità e a rimediare alle loro frequenti bugie.
Un nuovo giorno cominciò ed il Signore delle Stelle, continuando il suo viaggio, creò in un nuovo luogo un grazioso dipinto raffigurante un piccolo granchio, che egli chiamò Cancer. Felice dinanzi all’ennesimo mirabile scenario, gli alitò sopra così da dargli vita ed il grazioso animaletto si allontanò velocemente cercando un luogo dove nascondersi, camminando di lato.
Cancer era un crostaceo molto sensibile e introverso, spontaneo ma anche spiritoso, dotato di una grande immaginazione e della capacità di sognare ad occhi aperti. Piuttosto pauroso e preoccupato dalle novità, egli tendeva a vivere proiettato nel passato e a rifugiarsi nel suo robusto carapace ad ogni minimo segnale di suscettibilità o di pericolo. Il re doveva trattarlo con grande accortezza per non urtare la sua suscettibilità e per non essere vissuto come autoritario. Cancer amava conservare tutto ciò che trovava e divenne il miglior collezionista del reame.
Venne il quinto giorno ed il re partì verso un altro luogo e lì tratteggiò, ancora una volta, un animale, sebbene completamente diverso dal precedente; un animale selvaggio, fiero, forte, orgoglioso e dal portamento regale che egli chiamò Leo. Egli vide che si trattava di cosa buona, allora gli alitò sul volto dandogli vita e Leo, senza spostarsi di un millimetro, lo guardò fissamente negli occhi ed emise un roco e profondo ruggito.
Leo era estroverso e leale, amava riposare pigramente, standosene sotto il baobab al fresco durante la calura estiva. Non indietreggiava dinanzi a nulla; aveva un carisma e una forza straordinarie, tanto da non saper accettare facilmente le sconfitte. Il suo principale obiettivo era quello di essere riconosciuto da chi gli stava attorno per le sue belle qualità, perché si considerava il migliore, il più bello, il più forte. Il re ne ammirava il regale portamento, la lealtà, la generosità e la sincerità, ma lo rimproverava spesso per il suo indugiare nella pigrizia e nell’autocompiacimento.
Il viaggio del Signore delle Stelle continuò alla volta di un nuovo luogo e di nuovo affresco che questa volta raffigurava una timida fanciulla, con indosso un grembiule da lavoro, che egli chiamò Virgo. Il sovrano si compiacque per l’armonia delle sue forme, le alitò sul volto dandole vita e l'eterea fanciulla prese subito a mettere in ordine il luogo in cui si trovava.
Virgo era una giovinetta introversa, composta e riflessiva, metodica nel lavoro e rigorosa nelle sue azioni. Si poteva contare sempre su di lei, sulla sua affidabile presenza. Ella era piuttosto paziente e servizievole, abituata al sacrificio ed amava sentirsi utile. La sua natura semplice e rigorosa non amava l’adulazione e nessun ruolo di comando. Il re doveva frenare il suo eccessivo senso critico ed a volte sostenere la sua incertezza e il suo innato senso del pudore.
Il settimo giorno il Signore delle Stelle partì alla volta di un nuovo territorio da risvegliare, sì fermò in un punto e incastonò nel cielo un ritratto raffigurante una bilancia, che egli chiamò Libra.
Libra era il senso dell'equilibrio, della giustizia e della misura; era la passività e la ponderazione nel prendere le decisioni. Ella era dotata di grande versatilità ed amava il bello, oltre che vivere negli agi. Detestava i modi bruschi e le cattive maniere perché era alla continua ricerca di armonia. Era cortese fino ad essere diplomatica, seria fino ad essere melanconica, attenta a far rispettare la sua privacy. Il sovrano doveva stimolarla ad uscire dalla pigrizia nella quale piombava di tanto in tanto, ad essere più spontanea e diretta. Non era facile dissuaderla, poiché una creatura dell’apparenza dolce e delicata come lei, era molto più determinata ed ostinata di quanto apparisse in realtà.
L’ottavo giorno il re riprese il suo viaggio nell’universo; quando fu stanco, si fermò e prese a dipingere l’ennesimo scenario: questa volta si trattava di un piccolo animale della notte che egli chiamò Scorpio.
Scorpio era un animaletto velenoso, che amava le tenebre e l'oscurità. Sebbene introverso, era un aracnide coraggioso, tenace e combattivo; era caratterizzato da una grande forza interiore e da un’estrema profondità. Non si fermava mai di fronte a nulla, era costantemente alla ricerca di esperienze sempre più profonde e significative. Aborriva la banalità ed a volte bisognava stargli alla larga perché, se ne urtavi la sensibile suscettibilità, poteva reagire malamente, pinzandoti con le sue aguzze e venefiche tenagliette. Il Signore delle Stelle ne conosceva la perniciosità, al punto che doveva spesso domarne gli eccessi d’ira; ma anche le sue straordinarie doti. Sapeva bene, infatti, che quello stesso veleno mortale poteva essere il più straordinario antidoto per la rinascita ed il cambiamento.
Il nono giorno cominciò ed il Signore delle Stelle, continuando il suo viaggio, creò in un altro luogo un maestoso dipinto raffigurante un centauro - creatura per metà uomo e per metà cavallo - con un arco nella mano, che egli chiamò Sagittarius.
Sagittarius aveva la natura impetuosa, impulsiva e irrequieta del cavallo e lo slancio verso l'alto e verso il futuro, tipico dell'essere umano. Era esuberante, pieno di vita, amante dell'avventura e dei viaggi, a tratti anche ingenuo. Assetato di conoscenza, era solito mantenersi sempre informato sulle ultime novità. Il re faceva fatica a tenere a bada la sua voglia di libertà ed indipendenza, come pure il suo essere testardo fino a diventare ribelle, mentre sapeva apprezzarne la bonomia e l'attitudine ad avere fiducia negli altri.
Ancora una volta il sovrano partì verso un altro luogo ove dare forma ad un’altra delle sue magnifiche creazioni che, in questo caso, fu ancora una volta un animale, raffigurante un’agile capra dalle corna affusolate, pronta a scalare instancabilmente la cima della montagna. Egli si rallegrò per la bellezza del dipinto, gli alitò sopra per dargli vita e lo chiamò Capricornus.
Capricornus era un ovino assai tenace, resistente al dolore e alla fatica, pronto al sacrificio ed alla perseveranza, assai tormentato interiormente. La sua intelligenza e determinazione lo portavano nel tempo a costruire sempre qualcosa di importante, di grandioso, ad affermarsi su tutti. Ma si faceva fatica a contrastare la sua anima solitaria, indomabile ed a tratti individualistica, che facilmente poteva esitare nella tirannia e nella sopraffazione altrui.
Il viaggio del Signore delle Stelle proseguì alla volta di un nuovo luogo e di nuovo affresco da tratteggiare, che questa volta raffigurava un uomo con un'anfora nelle mani dalla quale cadeva dell'acqua. Il re lo chiamò Aquarius.
Aquarius era un giovanetto molto adattabile ed estroverso, sempre desideroso di amicizie e compagnia, ma privo di significativi slanci affettuosi; egli non amava gli schematismi, i dogmi e la routine. Seppur con i piedi per terra, da vero anticonformista, camminava sempre una spanna avanti agli altri ed era sempre pronto a sperimentare l’ignoto, con eccentricità ed indomita libertà d’animo. Il sovrano provava a sopperire alla sua instabilità ed alle sue tendenze esibizionistiche, cercando di impegnarlo in campagne umanitarie e di sensibilizzazione in cui eccelleva.
Il dodicesimo giorno il Signore delle Stelle intraprese l’ultima tappa del suo viatico che lo portò a realizzare il suo ultimo ritratto: due pesci rivolti in direzioni opposte, che egli chiamò Pisces.
La natura di Pisces, complessa e contraddittoria, li rendeva “tutto ed il contrario di tutto”, le infinite possibilità o anche l’assoluta nebulosità ed indefinitezza. Essi erano dei grandi sognatori, tendenti a sconfinare nell’utopia, fino a sacrificarsi per l’umanità. A motivo della loro impressionabilità, indecisione ed emotività, Il sovrano doveva stimolarli di frequente ad una maggiore stabilità e forza di volontà, oltre che a non lasciarsi eccessivamente influenzare dalle idee e dai comportamenti altrui.
La sua ultima creazione era finalmente terminata ed all’imbrunire del dodicesimo giorno il Signore delle Stelle – esausto e stremato - prese la via del ritorno verso il suo splendido palazzo d’oro. Mentre avanzava attraverso i cieli, era avvolto in un sorriso perché finalmente non era più solo nel suo sconfinato regno di vuoto e di buio. Adesso era attorniato da una lunga scia di stelle, ognuna con la sua intensità e precipua frequenza di luce, che illuminavano con eleganza, in maniera originale ed efficiente l’intero universo. Non erano stati i dipinti a mancare alla creazione, quanto piuttosto e in misura davvero speciale quei fari luminosi, così ricchi di storie, senso e sentimento da poter costituire per l'eternità i paracarri e la segnaletica utile ad orientare e rallegrare l’esistenza dei suoi sudditi.
Quando a sera fu sulla terrazza della sua stanza, egli contemplò per l’ultima volta il mistero della creazione e le meraviglie del suo giardino di stelle; benedisse tutto ciò che aveva generato e poté finalmente riposare in pace.


Epilogo.

La riflessione che segue risuona come apologia della narrazione e della storia, come metodo in cui si dispiega la vita umana sin dalla nascita ed, al contempo, si esplica e si compie la disciplina astrologica dall’inizio dei tempi. Questo scritto persegue l’obiettivo di rendere più accessibile al lettore, immediato ed efficace il linguaggio astrologico. Il racconto diviene, dunque, una tessitura inesausta di storie, che stanno come matrioske, l’una dentro l’altra e si sostengono e svelano vicendevolmente.
C’è la fiaba, ovvero una modalità di rappresentazione simbolica delle grandi verità dell'esistenza umana, in cui le immagini sgorgano spontanee, vissute e sono evocate da poche parole che suonano come un segnale irresistibile per l'immaginazione e l'emotività del lettore. La fiaba che, con il suo linguaggio sapiente, sufficiente a sé stesso, concede a chi legge la possibilità di elaborare immagini sue proprie per rappresentarsi il suo mondo interiore e la sua precipua condizione esistenziale. La fiaba che per sua natura, oserei dire per vocazione, è destinata a toccare con molta intensità ed intenzionalità le corde dell'emozione. La fiaba che, con la sua componente magica, suggerisce al lettore in che cosa consiste il percorso per il conseguimento dell'autorealizzazione e garantisce sempre il lieto fine, ossia la risoluzione dei conflitti e dei problemi interni ed esterni.
Poi c’è il viaggio come storia dell’evoluzione e del cambiamento nell’umana esistenza. Il viaggio come percorso iniziatico e di formazione che prima di tutto consiste in un processo ed in un percorso di autoriconoscimento, adattamento/assimilazione, trasformazione, elaborazione e costruzione continua di significati culturali, esistenziali, psicologici e spirituali nuovi. Il poeta inglese John Donne scrisse che “vivere in una sola terra vuol dire essere prigionieri”. Vivere in una sola terra vuol dire avere una vita fatta di esperienze scarse e ripetitive, che si svolge in un paesaggio unico e, perciò, monotono; condizione questa che finisce con il determinare un senso di chiusura e di prigionia, perché mutila o comprime il bisogno proprio dell'essere umano di conoscere, di provare svariate e sfaccettate forme di esperienza. L'uomo, invece, è per sua natura un camminatore, un viaggiatore, innanzitutto alla ricerca ed alla conquista della sua identità. Il viaggio come luogo in cui si situano le tappe, le prove, gli ostacoli, le mete intermedie dell'uomo protagonista della storia, come pure della vita. Il viaggio come percorso necessario per diventare uomini, a cui tutti i protagonisti delle storie non possono sottrarsi.
E c’è, infine, nella più piccola matrioska centrale l’astrologia con la sua potenza evocativa, la molteplicità dei suoi personaggi, la complessità della sua trama intrinseca e di quel linguaggio eterno con cui disvela il percorso iniziatico ed evolutivo dell’anima. L’astrologia che è essa stessa un modo simbolico di descrivere la vita, nel suo perenne movimento di contrazione ed espansione della coscienza.
Così “la via delle stelle” spero possa aver contribuito a far conoscere, seppur in modo insolito, l'antica disciplina astrologica, con un frasario - quello della fiaba -, che è di per sè ‘soulfulness’, pienezza dell’anima. Spero possa aver contribuito a farne affiorare il gusto ed il sapore, a farne percepire la fragranza ed i molteplici sentori, come pure a far scorgere possibili chiavi di lettura ed interpretazione della personale condizione di vita del lettore.
In fondo, la sinergia fiaba/astrologia può funzionare nella misura in cui entrambe emergono accomunate dalla stessa paternità: il mito, quel linguaggio metaforico primordiale che appartiene all’inconscio collettivo dell’umanità e che consente - by-passando delicatamente difese e resistenze personali – a chi legge di identificarsi in una delle molteplici storie narrate, di svelare il proprio funzionamento profondo e anche di accettare parti nascoste e dolorose di sé. Entrambe hanno scelto, infatti, la via della risonanza e dell'eco che situazioni narrative emblematiche possono suscitare nel profondo dell’essere umano.
La “via delle stelle”, in fondo non ha un finale ultimo. Esattamente come nella vita reale, ci si ritrova in una storia infinita. Ed eterna, in cui si ha sempre un’altra possibilità ed un’altra ancora.


“Per me una storia è una persona, viva e cara, che non può mai morire”.
Clarissa Pinkola Estes


Bibliografia.
S. Arroyo, Astrologia, karma, trasformazione, Astrolabio Ubaldini Editore, 1990.
B. Bettelheim, Il mondo incantato. Usi, importanza e significati psicanalitici della fiaba, Feltrinelli Editore, Milano, 2001.
I. Calvino, Sulla fiaba, Einaudi, Trino, 1985.
F. Cumont, Lo Zodiaco, Adelphi, 2012.
G. Rodari, Grammatica della fantasia, Einaudi, Torino, 1973.
J. Hillman, Le storie che curano, Cortina Editore, Milano, 1984.
L. Morpurgo, Il convitato di pietra – Trattato di astrologia dialettica, Tea Libri, 2006.
C. Pinkola Estes, Storie di donne selvagge, Sperling e Kupfer, 2008.
R. Sicuteri, Astrologia e mito, Astrolabio Ubaldini Editore, 1978.

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