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Numero 1 M. G.

Fabrizio Viola, alle radici di sé

Le opere in legno dell'artista leccese d'adozione.

Un uomo che “possiede le chiavi per aprire una delle porte dietro cui dimora la memoria di ogni universo”

Né qui né da nessun’altra parte ma dentro di me. È stato questo il primo approccio, quando mi sono imbattuto nei quadri di Fabrizio Viola. Lo so, imbattersi significa capitare per caso e dunque ho usato un termine improprio, poiché nulla è accidentale ma tutto è avvolto in quella imperscrutabile sostanza, distante dal tempo consueto, al quale siamo costretti a inchinarci per sostituire l’enigma con un raziocinio acquiescente. Allora, ricomincio dalle prime undici righe per sintetizzare non un’idea quanto piuttosto una sensazione e la conferma che ne è derivata.
“Quel dentro di me” è stato così radicale e immediato da spingermi sul precipizio sotto il quale ho scorto, per il barlume di un illuminante momento, le vestigia della certezza ancestrale.
L’artista, quale che sia l’ambito nel quale si muove, possiede le chiavi per aprire una delle porte dietro cui dimora la memoria di ogni universo e se devo ricondurmi alla logica cui accennavo in apertura, posso indiscutibilmente dichiarare che l’impressione iniziale fu subitanea perché le opere di Fabrizio Viola sono su legno. E il legno non è soltanto il simbolo della natura atavica creatrice, ma è pure il delegato di ciò che siamo.
Dunque, quando ammirai senza esprimere pareri - di fatto già svelati dalla parte più autentica di me e palesati verbalmente in un secondo momento - i lavori di questo artista nato a Battipaglia nel 1986 e residente a Lecce perché innamorato (ecco un’altra testimonianza delle facce del mistero indicato poc’anzi) di questa città, ne colsi subito l’immediatezza senza capirne il motivo.
Nei suoi quadri c’era qualcosa di indefinito e al tempo stesso di preciso. Palpabile ma imperscrutabile. Una sorta di commistione tra l’attesa di comprendere e la chiara manifestazione di quanto avevo davanti.
Sicuramente possedeva già i geni dell’arte avendoli ereditati da una famiglia che da generazioni plasma il legno trasformandolo in una metafora di vita quotidiana.
Ed egli stesso dopo essersi espresso come corniciaio; attività iniziata a sedici anni e mai abbandonata (le cornici: anime esteriori di quanto ci dimora all’interno) e sperimentazioni pittoriche su tela con olio e acrilico, a un certo punto della sua vita, si avvicina al mondo della pirografia. Pirografia, scrittura col fuoco. Un’antica tecnica d’incisione su legno. E il fuoco evoca la vita. Così come la rammenta il legno, materiale sul quale lavora. Ecco quindi svelato il mistero quando il mio sguardo incontrò per la prima volta i suoi quadri dai quali restò affascinato e ammutolito e incuriosito. Il legno parlava. Anzi, era tornato a parlare rinascendo attraverso le mani di questo giovane eclettico maestro, fabbricante di sogni e visioni ancestrali che dal singolo sé,si spingono sui lidi del sé collettivo.
A chi scrive ne ha fatti rivivere alcuni, immaginarne altri, semplicemente davanti ai suoi quadri. Ancor oggi ignoro se l’anima o la mente: la sua sostituta in tempi di vita materiale, me li abbiano convogliati dentro, ma ha poca importanza saperlo se riescono nello scopo che ogni artista si pone quando produce: quello di farli sentire palpitanti alla stregua di creature partecipi all’esistenza, e io li ho sentiti così: vivi come esseri febbricitanti di vita. Li ho quasi vissuti immergendo lo sguardo nei solchi di quelle incisioni che col fuoco hanno ridato luce e profondità a quanto intuiamo, aneliamo, desideriamo.
Cosa c’è di più autentico della speranza, del sogno e della voce sussurrante che fuoriesce dalle dita mentre lavorano ciò che la natura ha elargito? Cosa c’è di più vero di un pezzo di legno vivificato e rianimato dell’estro di chi ha nei suoi polpastrelli qualcosa di più della vita ordinaria che quotidianamente invoca di essere osservata, compresa, amata e vissuta non come ciò che le sterile sequenza dei giorni cerca di fare ogni istante ad ogni respiro, confondendo la verità con le illusioni, ma per come veramente è.
E infine cosa c’è dentro quegli angoli e quelle fessure intarsiate dalla fiamma diretta sul legno, se non il grido e l’invocazione del fine ultimo dei sogni affinché tornino ad essere quello che sono?
Scolpire il legno col fuoco vuol dire andare oltre i limiti mostrando finalmente com’è fatto quel profilo in grado di smuovere dal torpore dell’ordinario per riottenere, per il tempo della meditazione mentre si osserva, la trama dei sogni senza la quale ciò che chiamano vita sarebbe solo il rantolo e l’accenno di un se di un ma e di un forse.
A me non resta che ringraziare un artista diventato un amico per avermi offerto lo spunto per esaminare al di là di ciò che l’indice cerca di dimostrare distraendomi da una verità che è a portata di mano ogni volta che allarghiamo il respiro. A lui non rimane che proseguire sulla strada intrapresa, segnando e marchiando la sostanza nascosta da un sottile, eppure spesso velo.
La verità non ha solo un nome. Ne possiede diversi e sono tutti laggiù: nel fondo di ciò che abbiamo scordato. A lui il compito di rammentarcelo, svegliandoci ogni tanto dal sonno dell’incuria.

Fabrizio Viola
Fabrizio Viola

Fabrizio Viola vive a Lecce. Ha partecipato nel 2014 alla mostra Internazionale d’arte contemporanea “punti di vista”, curata da Amedeo Fusco e Rosario Sprovieri nel complesso dei Dioscuri al Quirinale q Roma. l’anno successivo ha preso parte ad A4 Contest organizzato dal Daphne Museum Art assieme al Museo d’Arte contemporanea e il Club Unesco di Caserta e nel maggio del 2015 interviene alla mostra internazionale “Punti di Vista Tour” di Caltanissetta, sempre nel corso dello stesso anno partecipa a Romart, Biennale Internazionale di Arte e Cultura della capitale.

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