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Numero 4/2017 Marco Renna

La modernità dei filosofi classici

Nel VII a.C. in Asia Minore, in Italia Meridionale e subito dopo in Grecia nacquero i primi filosofi occidentali inventori di un nuovo modo di ricercare il vero, non più solo attraverso il mito e la religione, come era accaduto fino a quel momento, ma avvalendosi del ragionamento critico e dell'argomentazione.
Quello che mi interessa sottolineare in questa sede è l'attualità del pensiero di alcuni di loro. I primissimi filosofi che si avvalsero del metodo del ragionamento critico per cercare di venire a capo della spiegazione della realtà circostante concentrarono la loro attenzione, in particolare, sulla questione dell'origine del mondo, andando alla ricerca del principio primo causa di ogni aspetto della realtà e del logos, ovvero della legge che li governa. Tradizionalmente viene attribuita la paternità di questo nuovo modo di pensare in particolare ai tre filosofi della scuola di Mileto: Talete, Anassimandro e Anassimene, che "inventarono" la prima vera filosofia occidentale, meglio conosciuta come "naturalismo", termine che deriva dall'attenzione che questi tre filosofi dedicarono all'individuazione del principio primo di tutte le cose negli elementi naturali, come l'acqua, l'aria ecc. Se ai nostri occhi contemporanei del XXI secolo può far sorridere l'idea di far risalire l'origine del mondo a questo genere di spiegazioni, molto moderno e vicino ai giorni nostri è invece il metodo argomentativo con cui questi primi grandi pensatori della filosofia giunsero a tali conclusioni.
Ad esempio Talete, che individua l'acqua come principio primo di tutte le cose, non fonda questa ipotesi su intuizioni mistiche o superstiziose, ma basa questa teoria sulla constatazione che questo elemento naturale circonda e sostiene ogni terra, è presente in ogni cosa viva, è presente alla nascita di ogni vivente e così via.
Oppure, spostandoci qualche secolo più avanti al secolo V a.C., si pensi alla modernità delle teorie di Eraclito, altro importante filosofo nato in Asia Minore, il cui pensiero ha ispirato un altro grande pensatore molto più vicino ai giorni nostri, Georg Wilhelm Hegel, vissuto a cavallo tra il XVIII e XIX secolo, tanto che quest'ultimo lo omaggerà definendolo il padre del pensiero dialettico. Eraclito vedeva nel divenire di tutte le cose la legge suprema del mondo, credeva in un perenne conflitto dei contrari come per esempio quello tra il caldo e il freddo, tra il giorno e la notte, tra l'umido e il secco ecc. Un conflitto degli opposti che garantirebbe il costante mutamento, una perpetua danza di opposti tenuti insieme però da una superiore legge cosmica, in una contrapposizione che può avvenire soltanto tra queste coppie.
È straordinaria l'attualità di queste teorie e la somiglianza del concetto di divenire eracliteo rispetto a quello hegeliano, molto più moderno, secondo cui la realtà muta, evolve per successive contrapposizioni e sintesi. In ogni epoca storica, secondo Hegel, si affermerebbe uno spirito del tempo che verrebbe superato dalla sua successiva negazione per poi essere ripreso, recuperato nel terzo momento della sintesi, in cui conviverebbero il vero recuperabile dell'affermazione e della sua successiva negazione.
Eraclito ha intuito l'essenza del pensiero dialettico cinque secoli prima di Cristo anticipando, in un certo senso, uno dei presupposti metodologici del procedere del pensiero scientifico, perché, a ben vedere, come procede il sapere scientifico se non per mezzo di un metodo dialettico che pone delle premesse, delle ipotesi, per poi metterle in discussione, spesso solo in parte, giungendo a delle verità scientifiche per mezzo di un'opera di scrematura di ciò che vi è di falso nelle ipotesi iniziali e salvando invece ciò che vi era di esatto?
Anche guardando nel mio intimo, a me sembra che ogni fase della mia vita in qualche modo recuperi, sia la sintesi tra quello che quello che ho creduto di essere in un primo momento e quello che poi ho creduto di aver smesso di essere nella fase successiva, come se in qualche modo nulla delle mia vita vada veramente perso per sempre.
Vissuto anche lui nel secolo V a.C., Parmenide è un altro straordinario pioniere del pensiero filosofico occidentale, in particolare perché fondatore di quella branca della filosofia che si occupa di ciò che è, ovvero dell'ontologia. Egli affermava che la filosofia dovesse innanzitutto distinguere due regni, quello delle apparenze e quello dell'essere. Il primo abitato da ciò che appare ai nostri sensi, dal visibile, che però non è ciò che è, non è la verità, indagabile invece nell'altro regno, quello della verità.
Una celebre massima parmenidea sostiene: "l'essere è e il non essere non è". Una frase all'apparenza banalissima, tautologica, ma dalla cui affermazione dipendono delle conclusioni tutt'altro che scontate sulla natura dell'essere. Ad esempio, da questa affermazione deriva che ciò che è non può essere che uno visto che, retoricamente chiede il filosofo, se ci fossero due esseri, cosa li terrebbe divisi, da cosa sarebbero separati? Cosa ci sarebbe nello spazio vuoto tra l'essere e il non essere? Non l'essere stesso che non può dividere se medesimo e nemmeno il non essere dal momento che non esiste, giungendo così alla conclusione che non possano essere veri più esseri.
Ho riportato questo esempio per mostrare come anche Parmenide, uno dei padri fondatori della filosofia occidentale, si avvaleva di argomentazioni logiche e non di supposizioni mistiche per cercare di avvicinarsi alla verità. In particolare le sue erano argomentazioni di tipo deduttivo, che da premesse indubitabilmente vere ( dal suo punto di vista) faceva discendere poi i caratteri che l'essere avrebbe dovuto necessariamente avere per essere considerato tale. A cavallo tra V e IV secolo a. C. un altro grande filosofo classico, Democrito, espresse un pensiero straordinariamente attuale formulando la sua teoria atomistica. Stando a quest'ultima, il cosmo originariamente, prima del nostro mondo, era composto da atomi indivisibili che si scontravano creando vortici nel vuoto potenzialmente generativi di infiniti mondi.
Il nostro mondo, secondo Democrito, sarebbe nato per effetto del caos. Anche in questo caso mi sembra sorprendente l'attualità di un pensiero tanto antico se si pensa alla sua stringente somiglianza con le più accreditate teorie fisiche sull'origine del mondo, come quella del "big bang", la più accreditata nella comunità scientifica, secondo la quale l'universo avrebbe avuto origine da uno scoppio originario a partire da una particolare e casuale configurazione della materia sotto forma di particelle infinitesimali vaganti nel vuoto.
Per concludere mi pare di poter dire che, proprio come nelle teorie sulla dialettica di Eraclito ed Hegel, non c'è sapere che nel tempo vada davvero perduto, anche a distanza di millenni in qualche modo resiste la traccia di ogni grande teoria, che permette di vedere a noi contemporanei "come nani sulle spalle dei giganti".

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