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Numero 2 Edoardo Micati

Olivetti Studio 46, un colpo al cuore

La cara e affidabile macchina da scrivere. Un racconto che diventa un tuffo nel passato. Grazie al “tradimento” di un potente e moderno Acer 5738

A tarda sera ho spento il mio sofisticatissimo Acer 5738, programma Vista. Il giorno dopo si è rifiutato di funzionare, avvisandomi gentilmente che: “A disck read error occurrred”, insomma andava riformattato.
Riformattare, parola che sta a significare: “Procedura gestita da un software per rendere un mini disco, o un altro supporto di memoria, idoneo a ospitare dati”. Una sola parola per farmi capire che tutto ciò che c’era nella memoria del mio computer “era andato a farsi fottere”. Così, senza pensarci due volte, l’ho impacchettato e rispedito alla Acer.
Trovarsi senza computer, per chi come me lo utilizza di continuo, cominciando dal primo mattino per leggersi le varie testate dei quotidiani, per scrivere, è come non avere un braccio; sulle prime ho tergiversato con dei lavoretti di giardinaggio, Franca ne ha subito approfittato per spostamenti nella casa da tempo rinviati, il cane Pluto ha beneficiato di più frequenti scorazzate in campagna e lungo la costiera di San Foca, ma poi t’assale il desiderio di quella maledettissima tastiera, come l’ubriaco attaccato al collo d’una bottiglia di vino, non posso dire come il drogato in crisi d’astinenza, mai sono andato oltre le sigarette e ne ho tirate un’infinità.
Al centro d’assistenza Acer mi hanno predetto un’attesa non inferiore ai 10 giorni, compreso il viaggio di ritorno, un tempo enorme.
Pensai, cosa diranno i miei amici di Facebook? Quelli che mi conoscono bene considereranno che ho il computer fuori uso, ma gli altri, fra questi i tanti del Mondo, i venezuelani, i portoghesi, i birmani, quelli degli Stati Uniti, gli iraniani, eccetera eccetera, con i quali sono in contatto, cominceranno a prendere in considerazione la mia eventuale dipartita terrena?
Ah, se avessi una tastiera! Tastiera? S’accese, identica a quella dei fumetti, la classica lampadina!
Edoardo, svegliati, ce ne è una di tastiera, è nel solaio, quella della tua Olivetti Studio 46. L’hai utilizzata per una vita, per il tuo lavoro di rappresentante, per scrivere i tuoi primi racconti.
Un istante dopo ero su a cercare fra le innumerevoli cose inutili conservate, poi, sotto l’enorme involucro del presepe, alla fine la trovai. Rimossi la polvere, qualche ragnatela ma, prima di aprire la custodia, un atroce dubbio si fece avanti: ci sarà almeno il nastro, se no a che potrà servirmi?
C’era e funzionava perfettamente. La tastiera pareva, in scala, il modellino della gradinata di un anfiteatro ma, mentre quella del computer basta sfiorarla, qui bisogna pestare sui tasti. Tuttavia, veder muovere il carrello, scoprire la funzionalità della macchina, mi procurò un piacere indicibile. La forza motrice la producevano le mie dita, erano loro a decidere la velocità.
Mi accorsi che stavo canticchiando il motivetto del film “Il Ponte sul Fiume Kway”, quello con Alec Guinness, accompagnandolo col ticchettio dei tasti per cadenzarne il ritmo. Subito Franca mi fece notare che mai al computer lo facevo.
Il nastro copiativo era del tipo bicolore, rosso e nero come le brutte maglie del Milan mentre, man mano che scrivevo, apparivano righe nere e spazi bianchi, come le odiate casacche juventine. Macchina da scrivere pretende carta e, fortunatamente, in certe vecchie cartelle scoprii l’ultimo dei Mohicani, un rarissimo foglio di carta copiativa, messo in mezzo a due risme di fogli commerciali e protocollo.
In una scatola da scarpe c’erano delle gomme per cancellare, quelle tenere per le matite, dure per la scrittura con inchiostro. Nella mia borsa comprendi tutto, quella che mio nipote Alessandro chiama “la valigetta magica di nonno Edo”, in un sacchettino, ho rinvenuto delle ceralacche per sigillare i plichi. Rovistando, uscirono fuori delle graffette, la punzonatrice, le punesse, la macchinetta spillatrice, le etichette auto adesive con i contorni a forma di ghirigori, la scatoletta con gli spilli, i temperamatite, le due boccettine di scolorina, la stilografica d’oro placcato, regalatami per la cresima, la mia prima voluminosa, penna a biro, decine di mozziconi di matite d’ogni misura, persino quelle a doppia punta, blu e rosse, il compasso, squadra e righello, e, udite, udite, un tampone di carta assorbente con l’impugnatura di pelle marrone scuro, tutte cose che ho utilizzato dai 5 a Sessanta anni, sparite con l’avvento dei computer.
Sarebbero mai venute alla luce se non si fosse rotto il mio potentissimo Acer Aspire 5378, col quale riesco a collegarmi all’istante col Mondo intero, più velocemente d’uno schioccare delle dita, l’avrei mai rispolverate, m’avrebbero permesso un viaggio all’indietro nel mio passato?

P.S. Il mio Acer è ritornato, ora la mia Olivetti Studio 46 è di nuovo sul nel solaio a riposare.

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