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Numero 2 Giovanna Ciracì

“Quattro sbarre nell’anima”

Nel suo ultimo libro lo scrittore salentino Massimiliano Cassone racconta la difficile redenzione dalla mafia perché – come dice il protagonista - “una volta che sei in ballo, devi ballare, altrimenti chi è in pista ti travolge”.

Non è mai facile parlare di mafia, è molto più semplice discutere di legalità, di rispetto delle regole e di giustizia che deve esser fatta ogni qualvolta viene commesso un crimine. Non è mai facile parlare di ciò che porta un uomo a far parte di un sistema che ogni giorno divora la società con le sue malefatte e, soprattutto, non è mai facile comprendere perché e come questo sistema sia nato. Non ci si spiega come la voglia di potere e di denaro riesca a cancellare ogni traccia di umanità in un uomo, portandolo a una violenza inaudita e a porsi come nemico dei suoi simili.

Umanità travagliata che Massimiliano Cassone, giornalista e scrittore salentino, cerca di raccontare nel suo ultimo libro “Quattro sbarre nell’anima”, edito da ArgoMenti Edizioni. Un romanzo che narra le vicende di Martino, boss mafioso tra i più potenti della Scu leccese, il quale, tra le mura della sua cella carceraria, si ritrova a ripercorrere le tappe più importanti di un’esistenza consumata a delinquere, un viaggio a ritroso, pieno di flashback che ripercorrono un passato difficile, generato da una condizione di miseria in cui il protagonista cresce. Una miseria che provoca in lui frustrazione e che lo rende un “escluso” agli occhi degli altri. Una situazione che, giorno dopo giorno, fa nascere nel giovane una rabbia profonda e una voglia di riscatto da realizzare ad ogni costo, anche prendendo decisioni sbagliate.

Lui, cresciuto in una famiglia povera ma onesta, è affascinato dal mondo della criminalità che, molto probabilmente, ai suoi occhi, gli offre quello che la società civile non gli ha dato: considerazione, stima e soprattutto la possibilità di vendicarsi dei torti subiti. Ma questi torti sono così gravi da giustificare le sue scelte? Sicuramente no ma, ogni volta che ammazza o che impone il suo volere sugli altri, sfoga quella rabbia e quella frustrazione nate in lui da ragazzino.

Martino non è solo in questo percorso. Con lui ci sono altri ragazzi emarginati o vittime della società, figli di madri costrette a prostituirsi per vivere o che portano ancora addosso le ferite di abusi subiti da piccoli, gente che, come lui, cerca una via di fuga da una realtà che non accetta e da una situazione esistenziale pesante da sopportare. Martino intraprende, così, una strada da cui non riuscirà più a tornare indietro. Lotterà per arrivare ai vertici del sistema mafioso, riuscendoci con una determinazione non indifferente, ma pagherà ognuno dei suoi errori, nonostante in carcere cerchi di redimersi tentando di laurearsi in filosofia.

L’istruzione sembra essere alla fine, quindi, una possibile via d’uscita dal passato, l’altra faccia di ciò che la giustizia offre insieme alla condanna. Rieducare affinché il detenuto possa avere un’altra possibilità e ricominciare a vivere, ma questo è improbabile che accada per Martino, lui è un “fine pena mai”, difficilmente sfrutterà il suo titolo di studio una volta ottenuto ma lui continua a studiare ugualmente. Studia perché la laurea gli sembra essere l’unico modo per riconquistare la sua famiglia, per poter pensare senza sensi di colpa ai genitori morti di crepacuore a causa sua, per riavere la stima del fratello che da tempo ha rotto ogni legame con lui, per poter magari, un giorno, apparire diverso agli occhi dell’unica donna che abbia mai amato e di suo figlio, quel figlio mai conosciuto, che ha voluto volontariamente tenere lontano da sé e dal suo mondo marcio.

Essere un mafioso comporta anche questo, non godere dei propri affetti, perché questi non condividono un certo modo di comportarsi, perché si è costretti spesso a tenerli lontano per evitare di esporli continuamente ad alti pericoli, perché una volta che un detenuto è in carcere, anche se i suoi familiari lo vanno a trovare, la loro presenza quotidiana nella sua vita rimane sempre molto limitata.

Purtroppo una volta entrati dentro, uscire dalla mafia e da ciò che lo governa è difficile, se non impossibile, come il protagonista stesso spiega: “Tante volte ho provato disgusto verso me stesso, ma, una volta che sei in ballo, devi ballare, altrimenti chi è in pista ti travolge”. Eppure Martino, proprio attraverso lo studio, cerca ancora un nuovo riscatto dalla sua vita passata, cerca di rompere quelle sbarre che opprimono sia la sua libertà fisica che interiore, ridonando leggerezza alla sua anima. L’uomo, analizzando il suo passato, capisce la gravità degli errori commessi, ma soprattutto delle conseguenze che questi errori hanno generato e di quanto quello che definisce un “ego smisurato” lo abbia portato ad esagerare nel pretendere dalla vita. Ma afferma anche: “Quando ho ammazzato l’ho fatto in modo convincente. Sono un assassino” e, per questo, per lui non si deve avere compassione ed è giusto che chi sbaglia paghi.

Si parla, dunque, di giustizia e di legalità in questo romanzo scritto con grande profondità e con uno stile che prende senza mai annoiare il lettore e dove tanto è lo spazio dedicato alla dimensione introspettiva. Massimiliano Cassone, con il suo libro per il quale si è documentato accuratamente sull’ambiente mafioso svolgendo ricerche direttamente nel carcere di Lecce, invia un messaggio importante, mirato in particolare alle nuove generazioni, basato sul concetto, affiancato da quello della dovuta rieducazione del detenuto, che non bisogna farsi illudere da ciò che apparentemente regala potere e denaro con facilità e che “l’onestà è l’unica pillola che induce la serenità”.

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