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Numero 3/2017 Manuela Advita Zanisi

Pratyhara, Dharana, Dhyana, Shamadi:
La pratica dello Yoga interno

"La vera rivoluzione per raggiungere la libertà è quella interiore, qualsiasi rivoluzione esterna è una mera restaurazione della solita società che a nulla serve"
J. Krishnamurti

La vita moderna esige molto dal nostro focus: il ritmo veloce costante, il passare dalle mail a facebook, alla tv, alla musica, al cellulare, rendono la nostra mente inquieta. La mente, che è uno strumento a nostra disposizione, diventa ingovernabile: ci porta a passeggio tra passato, futuro, immagini non reali, supposizioni, desideri, strategie emotive, creando un surplus di stress che distrugge la nostra energia vitale. Siamo continuamente distratti da qualcosa di esterno a noi, perdendo in questo modo la forza del focus.

Secondo gli Yoga Sutra di Patanjali, l'Albero dello Yoga si compone di 8 rami:
astensioni (yama)
prescrizioni (niyama)
posture (asana)
regolazione del prana attraverso il respiro (pranayama)
introversione dei sensi (pratyahara)
concentrazione (dharana)
meditazione (dhyana)
assorbimento (samadhi)

I primi due, Yama e Niyama, definiscono il comportamento etico e morale del praticante.

La terza parte, Asana, è la pratica delle posizioni. Si può essere sorpresi di apprendere che la pratica delle posture fisiche è solo una parte del puzzle dello Yoga, data la attuale comunicazione che viene diffusa intorno a questa disciplina. Praticare le Asana è un modo per tuffarsi nel proprio mondo interiore, unendo tutti gli aspetti di te stesso-corpo, mente, cuore, respiro.

Pranayama è il quarto ramo dello Yoga. La possiamo definire pratica della Respirazione Consapevole. La vostra forza vitale, il prana (energia) che ci tiene in vita, è il respiro. Pranayama è la totale consapevolezza del movimento del respiro nel nostro corpo, attraverso l'osservazione di ciò che accade all'architettura anatomica del torace durante le azioni della respirazione, e riequilibra il flusso delle forze vitali del corpo. La pratica di Pranayama ci insegna quanto la respirazione sia il fondamento di una vita sia fisica che mentale totalmente in Armonia.
"Sintonizzati sul tuo respiro e ogni cosa andrà a posto", è il consiglio che do a tutti i miei allievi!

Da questo ramo in poi, proseguendo lungo la Via dello Yoga, è il momento di rivolgere i riflettori dall'ESTERNO all'INTERNO.
"Lo yoga è l'arresto dei vortici mentali". Patanjali Yoga Sutra I, 2
In questo sutra lo yoga viene definito come pratica di pacificazione mentale.
L'immagine del vortice richiama efficacemente lo stato di agitazione dispersiva in cui si trova la mente in condizioni ordinarie: gran parte della sua attività ha come unico scopo quello di difendere l'io, nei confronti di minacce che nella maggior parte dei casi sono del tutto immaginarie. Costantemente preoccupata dalla difesa di se stessa, la mente, come un animale irrequieto, corre da un pensiero all'altro reagendo agli stimoli esterni e ai movimenti dell'inconscio in modo frenetico e per lo più inefficace. Inoltre, se vi prestiamo veramente attenzione, ci rendiamo conto facilmente che il flusso ininterrotto dei pensieri e delle rappresentazioni mentali, molte delle quali sono cariche di negatività e costituiscono la nostra principale fonte di sofferenza, avviene in modo del tutto incontrollato e indipendente dalla nostra volontà.

Pratyahara, il quinto ramo, è il ritiro sensoriale dagli stimoli del mondo esterno. Tra i rami dello Yoga descritti da Patanjali, Pratyahara è probabilmente il meno noto, eppure, se non capiamo Pratyahara, lo Yoga rimarrà per noi un insieme di prescrizioni, astinenze, posture ed esercizi respiratori, ed avremo mancato il vero scopo della vita, cioè l'esperienza diretta dell'Assoluto. Infatti non è possibile passare direttamente dalle asana alla meditazione. Ciò comporta un salto dal corpo alla mente, dimenticando ciò che si trova in mezzo. Per effettuare correttamente questa transizione bisogna sviluppare un adeguato controllo su ciò che collega il corpo alla mente: il respiro e i sensi. Qui entrano in campo Pranayama e Pratyahara, i due prerequisiti per una efficace meditazione. Con pranayama controlliamo le energie vitali, con Pratyahara otteniamo la padronanza dei sensi. Come quinto degli otto arti, Pratyahara occupa un posto centrale. Alcuni yogi lo includono tra gli aspetti esterni di yoga, altri tra gli aspetti interiori. Entrambe le classifiche sono corrette, perchè Pratyahara è lo snodo tra gli aspetti esterni e quelli interni dello yoga, e ci mostra come passare da uno all'altro. Pratyahara è collegata a tutti gli stadi dello yoga. Tutte le altre arti – da Asana a Samadhi – contengono aspetti di Pratyahara. Ad esempio, nelle asana sono controllati sia gli organi di percezione che quelli di azione. Pranayama contiene Pratyahara in quanto ritraiamo la nostra attenzione verso l'interno focalizzzandoci sul respiro. Yama e Niyama contengono vari principi e pratiche, come la non-violenza e la letizia, che ci aiutano a controllare i sensi. In altre parole, Pratyahara fornisce le basi per le pratiche superiori di yoga ed è la base per la meditazione. Essa segue pranayama (o il controllo del prana) e, collegando prana alla mente, lo porta fuori dalla sfera del corpo. Pratyahara è anche collegata con dharana. In Pratyahara ritiriamo la nostra attenzione dalle distrazioni ordinarie. In dharana dirigiamo consapevolmente l'attenzione su un particolare oggetto, come un mantra. Pratyahara è l'aspetto negativo e dharana l'aspetto positivo della stessa funzione di base, l'attenzione. Se anche dopo anni di pratica non abbiamo raggiunto quello che ci aspettavamo, vuol dire che non abbiamo compreso a fondo lo stadio di Pratyahara. Cercare di meditare senza praticare un certo grado di Pratyahara è come cercare di raccogliere l'acqua in un recipiente che perde. Non importa quanta acqua introduciamo, essa andrà via. I sensi sono come buchi nel vaso della mente. A meno che non siano sigillati, la mente non potrà contenere il nettare della verità.
Pratyahara offre molti metodi per preparare la mente alla meditazione. Ci aiuta anche a evitare disturbi ambientali che sono la fonte del dolore psicologico. Pratyahara è uno strumento meraviglioso per prendere il controllo delle nostre vite e aprirci al nostro essere interiore. Non c'è da meravigliarsi che grandi yogi l'abbiano definita "la più importante parte del yoga".
Tutte le malattie mentali sono connesso con l'assunzione di impressioni sensoriali non salutari. Pratyahara è quindi un primo passo importante nel trattamento di tutti i disturbi mentali. Allo stesso modo è molto utile nel trattamento di disturbi del sistema nervoso, in particolare quelli che si manifestano con iperattività. Siamo spesso troppo impegnati ad esprimere le nostre emozioni, cosa che dissipa una tremenda quantità di energia. Pratyahara ci insegna a contenere la nostra energia e a non dissiparla inutilmente. L'energia così risparmiata può essere rediretta per scopi creativi, spirituali o di guarigione.
La malattia fisica deriva principalmente dall'assumere alimenti malsani. Pratyahara ci offre il controllo dei sensi che ci permette di astenerci dal desiderare cibo sbagliato. Quando i sensi sono controllati, si può impedire il sorgere di desideri errati o artificiali.

L'analisi degli ultimi tre stadi della pratica dello Yoga, dharana, dhyana e samadhi, presenta una ricchezza di materiale psicologico sconosciuta agli psicologi occidentali.

Nel primo stadio, dharana, hanno luogo alcuni cambiamenti mentali: distrazioni, ricordi spiacevoli, pensieri indesiderati, manie di persecuzione ed ossessioni diminuiscono fino a cessare, e molti dei conflitti mentali vengono risolti o perdono consistenza. In secondo luogo si instaura una sorta di tranquillità, quiete e sobrietà, che costituisce la via maestra verso l'equilibrio mentale. Dharana è contemplazione, ovvero relegare la mente in un'area limitata, che diventa l'oggetto della concentrazione. Rappresenta il movimento controllato della mente, focalizzato in un punto, in modo che le immagini mentali diventino più acute e il potere di attenzione aumenti. Solitamente Dharana viene tradotta in italiano con il termine "concentrazione", che purtroppo rischia di essere un po' fuorviante, perché suggerisce l'idea di una tensione, di una specie di "crampo" dell'attenzione. In realtà lo scopo ultimo di Dharana non è certo una contrazione, ma piuttosto un' allargamento della coscienza: sarebbe quindi più corretto usare i termini "focalizzazione" o "centratura", che suggeriscono maggiormente l'idea che la stabilizzazione della mente intorno al centro sia mantenuta grazie alla forza di attrazione del centro stesso, piuttosto che attraverso una tensione della volontà individuale. Dharana si può esercitare centrando la propria attenzione su un oggetto qualsiasi, scelto come supporto Dharana o concentrazione significa tenere la mente fissa su un punto, o immagine, o oggetto e mantenerla per un sufficiente periodo di tempo. Se si riesce a ritirare la mente, mantenerla stabile senza muoverla dall'oggetto della concentrazione, la concentrazione si trasforma in meditazione. Meditazione significa continua concentrazione della mente su un'idea ad esclusione di tutte le altre.

Dhyana è il settimo membro dello Yoga di Patanjali. E' ciò che comunemente definiamo "meditazione" e che introduce allo stato di estasi o Samadhi. Essa si compie negli strati più profondi del nostro essere, in una sfera della consapevolezza umana che non è afferrabile con l'intelletto, nè raggiungibile con la mera volontà; è perciò impossibile descriverla esattamente. In dhyana, si ha il flusso ininterrotto di citta (l'intera struttura psichica) verso l'oggetto di contemplazione. Qui la distrazione è praticamente annullata e la mente costantemente focalizzata e senza interruzioni su di un unico punto, per un certo periodo di tempo. Dhyana è un sostantivo formato sulla radice verbale sanscrita dhyai, che non indica semplicemente il pensare ma rimanda ad una gamma di significati inclusi fra campi semantici di pensare e di intuire.
Dhyana è uno stato di continua contemplazione senza alcuna interruzione.

L'ottavo ramo è samadhi, la consapevolezza è costante, ininterrotta e focalizzata sull'oggetto, ma senza la coscienza di sé, come fosse svuotata di sé stessa. Nel dhyana c'era consapevolezza di sé e l'adepto risultava cosciente sia dell'oggetto su cui si concentrava che di sé stesso: ma gradualmente anche l'auto-consapevolezza scompare per lasciar posto alla pura coscienza (senza distinzioni tra conoscitore, conosciuto e conoscenza). Attraverso Dhyana (meditazione) si varca l'ingresso della non forma, si abbandonano definitivamente le limitazioni dei pensieri, dei sentimenti, delle emozioni e degli oggetti. Si lascia dietro di sé l'involucro fittizio dell'individualità per approdare all'universale inesprimibile. Il Samadhi è espandersi nell'universo, immergersi totalmente in esso, è un volo nel vuoto, nel nulla totale che tutto può contenere. Se il passo precedente, Dharana, la concentrazione, presumeva uno sforzo e una partecipazione attiva per mantenere lo stato, per fluire in Dhyana è necessario che ogni sforzo e ogni attività svanisca, che l'agente stesso non sia più. Secondo Patanajali, Dhyana è il settimo degli otto passi dello Yoga e si può ottenere solo dopo che il precedente Dharana è perfezionato. Il praticante che riesce a mantenere l'attenzione costante su un oggetto, interno o esterno, senza che la mente abbia delle fluttuazioni, approda direttamente in Dhyana, stadio nel quale l'attenzione all'oggetto è mantenuta senza che vi sia più nessuna intenzione o sforzo. Il preciso istante del passaggio da Dharana a Dhyana non può essere registrato dalla coscienza in quanto avviene come immersione e non come un salto. Il momento in cui si capisce di essere in Dhyana è infatti l'esatto momento in cui si è usciti dalla meditazione. Dato che il riconoscimento, è un processo mentale che etichetta le situazioni, nel momento in cui diventiamo consapevoli è automaticamente il momento in cui perdiamo lo stato.

Patanjali scrisse: "il flusso ininterrotto o la continua attenzione in un punto è chiamata assorbimento in meditazione". E' necessario pertanto chiarire alcuni punti riguardo al significato di Meditazione proprio perché lo stesso termine è usato spesso con accezioni differenti da quello del contesto yogico.
Spesso si utilizza la frase "fare meditazione" ma, in realtà, è chiaro che la meditazione non si può "eseguire come un esercizio"; al contrario, l'azione e la volontà sono inconciliabili con la meditazione. Quando si parla di meditare si confonde la meditazione con le diverse tecniche. In realtà si confonde Dharana, la concentrazione, con Dhyana , la meditazione. Dhyana non consiste nello stare con gli occhi chiusi e con la mente che oscilla da un pensiero all'altro, ma è quello stato di vuoto mentale che si raggiunge secondo Patanjali tramite la concentrazione. Uno dei motivi di fraintendimento è il diverso significato che la cultura occidentale attribuisce al termine meditazione rispetto a quella orientale. Quando si parla di meditazione in occidente si fa riferimento spesso alla concentrazione rivolta a qualche cosa. La frase "… vado a meditarci sopra" è un tipico esempio . Nuovamente, in questo contesto, per l'oriente questo è Dharana e non Dhyana. Dhyana è il perno su cui si muove l'intera pratica dello Yoga. Si assiste spesso a lezioni di "Yoga" dove l'unica cosa praticata è attività fisica, dove non vi è spazio a nulla che possa indurre a Dhyana.
Lezioni del genere sono un'ottima attività sportiva, sicuramente benefica, ma non hanno nulla a che fare con lo Yoga dato che ne estromettono l'elemento fondamentale.

Un'altra fonte di confusione è lo Yoga Nidra. Coricarsi in Shavasana ed effettuare tecniche di rilassamento giova enormemente alla salute psicofisica della persona e ha effetti terapeutici notevoli ma non ha nulla a che vedere con la meditazione. Dhyana è il nettare dello Yoga e per assumerlo è necessario mantenere l'immobilità sia fisica che mentale in una posizione seduta, con la colonna vertebrale allungata, rimanendo su quella linea sottile tra lo sforzo della concentrazione e l'arrendevolezza alla grazia divina, una concentrazione che è forse più corretto chiamare attenzione o vigilanza. Per la loro stessa natura è impossibile descrivere con contorni netti la meditazione e ancor di più il Samadhi. Questo stato di super coscienza è descritto all'interno di tradizioni diverse ma mantiene,in tutte, la sua unicità. Nello Yoga, Patanjali come Yogananda, hanno descritto diversi Samadhi, dai più superficiali fino a quelli più profondi, per culminare nel Mahasamadhi (lasciare volontariamente il corpo) pratica riservata solo agli esseri illuminati. Samadhi significa essere uno con la meta. Ma cos'è il samadhi?

Il samadhi è una condizione esistenziale, uno stato interiore, uno stato di coscienza, uno stato speciale, straordinario.Avviene quando la mente si ritrae completamente dai sensi esterni, e si focalizza fortemente con il proprio oggetto di meditazione; quando la mente riesce in questa focalizzazione continua, senza interruzioni, quando anche il corpo è tutt'uno con questo processo, ovvero quando segue la mente in questo processo di focalizzazione, ecco allora che la mente si assorbe con l'oggetto, diventa uno con l'oggetto. Si ha dunque una fusione, yoga.Questa fusione avviene quando la mente non offre più resistenze, non porta con sé legami e pesi, attaccamenti a oggetti esterni o od interni. Quando la mente riesce dunque a liberarsi dai pesi che la trattengono, la distraggono, ecco allora che può trascendere i suoi stati ordinari, e raggiungere nuove condizioni di esperienza.
Il samadhi è dunque in generale un sinonimo di yoga inteso come stato straordinario di unione.
E cosa si prova? Gioia, gioia profonda, gioia senza limiti!

Il punto fondamentale da sottolineare a noi stessi, la questione da ricordarci, è che ciascuno di noi, sta cercando di soddisfare una sete di felicità senza fine, ciascuno di noi porta nel cuore, un desiderio di pace, serenità senza uguali.Abbiamo cioè dentro di noi un desiderio di Infinito,che può essere placato e soddisfatto solo attraverso questa fusione con la dimensione spirituale interiore più pura. Attraverso le otto pratiche dello yoga, quelle pratiche, tecniche, esercizi, che ci portano verso l'Unione, che questo stato può essere scoperto, svelato, vissuto.

Dunque cosa aspetti?
Ogni giorno fai un passo verso il Supremo Tesoro che si nasconde nel tuo cuore.
Comincia a meditare, prima una volta al giorno, poi due, per compiere passi in questa direzione. E' così che scoprirai in questo viaggio di beatitudine (ananda marga), tutte le tue potenzialità più belle, e ritroverai un profondo ed unico senso della tua vita.
BUONA PRATICA!




CHI SONO

Sono una yogini, che condivide, con chi me lo chiede, tutto ciò che la pratica dello ZEN YOGA ESPERIENZIALE mi insegna, ogni giorno della mia Vita.
Sono stata colpita, durante l'infanzia, da una patologia cronico-degenerativa della colonna vertebrale. Questa è la mia principale scuola di formazione, la grande opportunità di studio e ricerca di tecniche antalgiche e riequilibratici della postura, che in questa vita ho ricevuto in dono dall'Universo.
Terapista olistica, floriterapia di Bach (metodo Kremer), insegnante di Hata Yoga e di Riti Tibetani, cromopuntrice (metodo Kramer), facilitatrice di Pensiero Positivo e Legge di Attrazione, ho integrato, alla mia formazione, lo studio dell'Anatomia del Corpo umano e della Fisiologia. Pratico la Via dello Yoga da oltre 30 anni. Fondo la mia metodologia, lo Zen Yoga Esperienziale, sugli Yoga Sutra di Patanjali, su Iyengar, sul lavoro di M. Masakiro Oki, che integro con la ricerca di A. Olsen e di Therese Berterat, realizzando percorsi praticabili da tutti, poiché non richiedono nessuna abilità fisica. Al contrario, sono dedicati con particolare cura e amore a chi,come me, ha a che fare nella propria vita, con limiti fisici strutturali e/o funzionali.
La finalità è la Rieducazione al Corpo Naturale, Vuoto di tossine, e alla Mente Pacifica, Vuota di delusioni e attaccamento. La finalità è la Felicità.

Namastè!

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