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Ergane - Immagine ambiente
Numero 1/2017 Franco De Giovanni

Un pennello per dare senso al mondo

La natura vista attraverso gli occhi di un pittore

Miei cari lettori,
oggi vi racconterò la storia di un pittore salentino che sta combattendo una sua battaglia contro la globalizzazione del mondo moderno, che poi tanto moderno non è al cospetto del divino creato.
L’uomo “moderno” crede che con la sua intelligenza possa cambiare l'habitat naturale, comandare sulle piante, sugli animali, sul mare e sull’uomo stesso ma il pittore, nella sua tela, rappresenta fedelmente la natura incontaminata che ha nel suo cuore e nei suoi ricordi.
Se tentiamo di osservare, con attenzione, il suo quadro noteremo che la sua mano delicata, impugnando il pennello, è riuscita magicamente a portare il colore sulla sua tela creando, quasi come per miracolo, la storia del suo amato e piccolo Salento, alla stessa stregua di un racconto di o di una favola, e all'interno della cornice riusciamo a percepire la sensazione di poter respirare aria pura e incontaminata.
Egli riesce ad infondere nel dipinto la sua stessa serenità e una melodia in stile secentesco. Tutto appare come se il mondo, davanti a lui, si fosse fermato e osservato da dietro ad un cappello di paglia, quasi per coprirlo e proteggerlo dalle avversità dell'uomo malvagio che vuole distruggere il suo racconto rappresentato in quella tela, che prende movimento grazie ai suoi caldi colori. All’orizzonte si notano le montagne dell'Albania dietro cui, con delicatezza, va a nascondere i suoi muretti a secco, ricordi di fatica passata dai secoli di storia.
Gli alberi, nella loro bellezza, come per magia, assumono forme umane che si inchinano, ballano e camminano davanti all’osservatore per far capire che la natura ancora si può salvare, può ancora donarci la vita, l'ossigeno, i colori e l'aria pura.
Notiamo poi una lunga strada, la strada della vita, con un delicato movimento dell’erbetta; un’immensa ruota di un carro antico indica il passato. Il vecchio carro è distrutto dal tempo che passa, è stato abbandonato dalla vita in quel luogo come un vecchietto che ricorda le sue fatiche e dove una volta andava con il suo amato cavallo che, rimasto nella sua immaginazione, indica la sua fuga dall'odio della modernità frenetica e assurda dell’uomo.
In primo piano sovrasta un antico tavolino in legno d’ulivo dove, con il suo amore, il contadino salentino lascia ancora una volta ritornare un piccolo sogno come un racconto: egli vorrebbe bere per dimenticare il momento in cui un cacciatore lo avrebbe voluto sparare ma, con il suo dolce canto, il tutto viene ritratto come un ricordo pieno di melodie.
Come un mago con la sua bacchetta magica, il pittore ritrae la nostalgia del profumo di un’anguria tagliata, la bellezza delle ciliegie, il sapore del formaggio fresco, un piatto di frise salentine da poco sfornate, il fico di San Giovanni, le dolci carrube secche, una vecchia bicicletta arrugginita dagli anni, rimasta ferma nel passato e dimenticata in un bicchiere di vino.
Questo è ciò che mette sulla sua tela il pittore salentino che, oggi, cerca con fatica il suo angolo di campagna, non lo trova più e così, passeggiando per le viuzze, con il suo cavalletto, incontra un passante che gli racconta questa storiella: “C'era una volta un ulivo e sui suoi rami tanti uccelli cinguettanti, il muro a secco e una vecchia Pajara di pietre che tante volte ci siam passati d'avanti senza mai accorgerci di loro. La Pajara era l'unica che faceva sempre compagnia al suo più caro amico, il muro a secco, impegnato di tanto in tanto a parlare con gli alberi di ulivo.
Un giorno l’albero di ulivo, con stizza, disse ai suoi vicini: «Sapete cosa mi hanno riferito alcuni amici? Che in questo paese ci stanno espiantando e ci stanno portando via da qui, perché devono diserbare il terreno con tanti veleni, per collocare tantissimi pannelli solari assieme a degli alberi grigi alti 150 metri, con delle lunghe braccia mosse dal vento. Svanirà in un sol colpo la nostra vita salentina e rimarrà la morte delle acque sotterranee avvelenate». Un albero amico gli rispose:«Sì, è vero, nessuno ci pensa. L'uomo cattivo non ha più bisogno di noi, del nostro olio, del nostro ossigeno e della nostra legna, vuole avvelenare la natura e con essa avvelenarsi lentamente per morire in modo quasi indolore». Allora la Pajara, stupita del messaggio dell'albero si sentì debole, le vennero meno le forze e crollò su se stessa, facendosi tanto male. Il muro a secco da parte sua si lasciò trascinare dalla cattiveria dell'uomo con rabbia e malincuore. Nell'aria un uccello, che saltellava tra rami, vide da lontano un'elica che girava, si avvicinò curioso e venne fatto a pezzi. All'improvviso il padre e la madre rondini se ne accorsero, si avvicinarono in fretta e anche loro vennero colpiti a morte, senza nemmeno una ragione. Gli altri uccelli, che videro tutta la scena, piangendo si allontanarono a causa della malvagità dell'uomo che aveva distrutto e reso pericolosa una parte del suo ambiente, facendosi del male e distruggendo se stesso, la natura e gli animali”. Così l'uomo vive felice e contento? Perché? Tutto questo voler sotterrare veleni… perché? La natura non la possiamo più dipingere? Perché io non posso più trovare le mie stradine per passeggiare? Ma vi chiedo, per quale motivo si è lasciato fare tutto questo, per morire di tumore?

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