Spazio X

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Numero 1/2017 Maria Carrassi

Le feste natalizie, tra riti e leggende

Il periodo più bello dell'anno porta con sé tradizioni, magie e sorprese. Come quelle legate alla Befana, un personaggio ambivalente

Il periodo che va dal 21 dicembre al 7 gennaio è un periodo magico perché inizia col solstizio, il momento più oscuro dell’inverno, che costituisce una sorta di passaggio, di iniziazione obbligata per accedere alla metà chiara dell’anno, il periodo in cui il Sole acquista gradualmente forza. È perciò un periodo ricco di tradizioni, leggende e riti beneauguranti.
Tra i simboli più rappresentativi di queste festività c'è la Stella di Natale che si dice porti fortuna. Sulla sua origine si raccontano varie leggende. Tra le più note si ricorda che una bambina molto povera, una notte di vigilia, volendo mostrare a Gesù il proprio amore, ma non aveva nulla da poter donare, raccolse un fascio di erbe che mise sull’altare: e queste si trasformarono in Stelle di Natale.
Il vischio è una pianta che porta bene agli innamorati che si baciano sotto il suo sguardo, la notte di Natale o di Capodanno. Questa leggenda è di origini scandinave.
Il vischio era associato alla dea anglosassone dell’amore Freya, la quale avendo perduto uno dei due figli, piangendolo disperata, le sue lacrime a contatto con il vischio lo fecero tornare in vita. Per la gioia, la dea, decise di regalare la felicità a coloro che si fossero baciati sotto il vischio.
Poi c'è la leggenda del Pungitopo, i cui rami tagliati proteggevano le provviste dai topi, da cui il nome. I frutti della pianta maturano in inverno, sono rossi e da tostati – in passato – erano usati come sostituti del caffè. Il pungitopo maggiore è meglio noto come agrifoglio, che protegge dai demoni ed è di buon auspicio per l'inizio di un nuovo anno. Quindi da tenere in casa non solo a Natale ma anche a Capodanno.

La festa di Capodanno dà inizio a un nuovo anno. Nella magica notte del 31 dicembre, sono numerosi i riti propiziatori, quasi tutti di origine pagana, risalenti al X-VI Secolo A.C. che utilizzano piante e prodotti agricoli beneauguranti per rinascere a nuova vita con l'ingresso del nuovo anno, da utilizzare secondo riti particolari.

Arriviamo poi al 6 gennaio che rientra anch'esso nel momento solstiziale, e viene così a rappresentare la morte che precede la rinascita, l’inverno che preannuncia la primavera e che deve necessariamente morire perché la bella stagione possa fare ritorno.
Il 6 gennaio è il giorno dedicato alla Befana, un personaggio misterioso, che chiude le vacanze natalizie.
Celebrata in tante filastrocche, ne cito una tra le più belle e credo meno conosciute, di un Anonimo, che così recita:

Zitti, zitti, presto a letto
la Befana è qui sul tetto,
sta guardando dal camino
se già dorme ogni bambino,
se la calza è ben appesa,
se la luce è ancora accesa!
Quando scende, sola, sola,
svelti sotto alle lenzuola!
Li chiudete o no quegli occhi?
Se non siete stati buoni
niente dolci, nè balocchi,
solo cenere e carbone!


Secondo quanto sappiamo, il termine “Befana” deriva dal greco “Epifania” che significa “apparizione, manifestazione” ed il nome fa riferimento alla presentazione di Gesù al tempio. Tutto ciò che è scritto sulla Befana poggia su una serie innumerevole di leggende, alcune delle quali vedono la Befana non come una dolce vecchietta che dispensa doni, ma con le caratteristiche di una strega. Una leggenda racconta che una sera di un inverno freddissimo, bussarono alla porticina della casa della Befana tre personaggi elegantemente vestiti: erano i Re Magi che, da molto lontano, si erano messi in cammino per rendere omaggio al Bambino Gesù. Le chiesero dov’era la strada per Betlemme e la vecchietta indicò loro il cammino. I Magi la invitarono a seguirli ma lei rifiutò. Dopo che i Re Magi se ne furono andati si pentì e decise di raggiungerli. Allora uscì per cercarli, ma la sua ricerca fu inutile. Allora cominciò a bussare ad ogni porta lasciando un dono ad ogni bambino, sperando che uno di loro fosse Gesù.
Quel suo cammino non si è fermato più e così, da allora, ogni anno nella notte tra il 5 ed il 6 gennaio, a cavallo della sua scopa, va in giro di casa in casa, per lasciare un dono ai bambini. Qui da noi usiamo lasciare una calza appesa al caminetto, ma in altri paesi i bambini lasciano, oltre alle calze, anche delle scarpe fuori dall'uscio di casa, o sotto il caminetto, nel caso la vecchietta avesse bisogno di cambiare le sue scarpe, logoratesi per il troppo camminare. Se la befana non le utilizza, ringrazia mettendoci dentro dei dolciumi.
Noi siamo stati abituati a vedere la Befana come una vecchia brutta e gobba, con il naso adunco e il mento aguzzo, vestita di stracci e coperta di fuliggine, perchè entra nelle case attraverso la cappa del camino.
Ma già a partire dal IV secolo a.C. l'allora Chiesa di Roma cominciò a condannare tutti riti e le credenze pagane, definendole un frutto di influenze sataniche. Queste sovrapposizioni diedero origine a molte personificazioni della Befana, che sfociarono, a partire dal Basso Medioevo, nell'attuale figura, il cui aspetto, benché benevolo, fu chiaramente associato a quella di una strega: non a caso, fu rappresentata su una scopa volante, antico simbolo che, da rappresentazione della purificazione delle case (e delle anime), in previsione della rinascita della stagione, fu successivamente ritenuto strumento di stregonerie, anche se, nell'immaginario, la Befana cavalca la scopa al contrario, cioè tenendo le ramaglie davanti a sé.
L'aspetto da vecchia sarebbe anche una raffigurazione simbolica dell'anno vecchio: una volta davvero concluso, lo si può bruciare, così come accadeva in molti paesi europei, dove esisteva la tradizione di bruciare dei fantocci vestiti di abiti logori, all'inizio dell'anno. Il carbone - o anche la cenere - da antico simbolo rituale dei falò, inizialmente veniva inserito nelle calze o nelle scarpe insieme ai dolci, in ricordo, appunto, del rinnovamento stagionale, ma anche dei fantocci bruciati. Condannata inizialmente dalla Chiesa, l'antica figura pagana femminile fu accettata gradualmente nel Cattolicesimo, come una sorta di dualismo tra il bene e il male.
Ai nostri giorni nessuno, o quasi, si sognerebbe di vedere, nella bonaria e simpatica vecchietta dispensatrice di doni, una perfida strega dalle arcaiche fattezze.
Per quanto ciò che è brutto nell’inconscio possa coincidere con ciò che è cattivo, la Befana tanto rugosa, sdentata e nasuta non cessa mai di apparirci come la più amabile delle nonnine.
Le prime notizie storiche, circa l’origine e il significato della Befana riportate da un accademico fiorentino, Domenico Maria Manni (1690-1788), direttore della Biblioteca Strozzi, filologo e studioso del Medioevo e autore di una dissertazione intitolata: Istorica notizia dell’origine e del significato delle Befane, ne tratteggiano un’immagine piuttosto insolita. Un'immagine molto lontana dalla buona vecchina che «vien di notte con le scarpe tutte rotte, per diventare la perfida megera da temere, da imbonire e da cui proteggersi con mezzi magici. La Vecchia sembra in grado di volare e di rendersi invisibile, di attraversare muri e porte chiuse, di compiere incredibili prodigi, di assumere voce e aspetto d’animale per poi ricomparire all'improvviso nella forma consueta caratterizzata da un enorme naso a becco, infagottata in cenci scuri e troppo larghi e con un cappello a punta, tipico dell'abbigliamento dei maghi.
Un personaggio ambivalente quindi, che oscilla tra l'essere buono e l'essere cattivo, una duplicità che trae la sua origine dalla sintesi di numerose figure mitiche nate nel Medioevo, un periodo di transizione tra il paganesimo morente e il cristianesimo in espansione. Per conoscere gli aspetti e le caratteristiche contraddittorie della nostra Befana occorre, quindi, andare a ritroso nei secoli, affidarsi alla leggenda, curiosare fra i riti e le usanze. Ne emergono costumi e culti profondamente diversi ma tutti, curiosamente, celebrati il 6 gennaio; e tutti in qualche modo collegati, attraverso figure femminili benefiche o malevole, alla fertilità della donna e della terra, ma anche ai defunti, i cui simboli più accreditati sono il carbone come già detto ma anche il sale e le fave. Il carbone e il sale, come le fave, riportano ancora una volta l’accento sul regno dell’aldilà. E questo perché il carbone è il nero e freddo dono del sottosuolo che solo bruciando e alimentando il fuoco purificatore può mutare la propria natura e ritornare alla vita.
Il sale, poi, come comprova il suo impiego magico, sterilizza e brucia, isola e protegge dalle energie negative: per questo il mago lo sparge attorno a sé in forma di cerchio, così da chiudere al di fuori, oltre una barriera invisibile, le forze soprannaturali, magari pericolose, che intende manipolare a distanza.
Le fave poi sono da collegare alla morte perché in Toscana per esempio si crede che la Befana si avvicina per forare il ventre di chi non abbia mangiato le fave. Infatti un’antica filastrocca di questa regione recita: ''Befana, Befana non mi toccare che ho mangiato pane e fave''. Le fave infatti sono il cibo dei morti, offerte dagli antichi sulle tombe e gettate dietro le spalle con gesti di scongiuro durante le feste romane dedicate ai Lemuri, gli spiriti dei trapassati. Traspare cosi un motivo già presente nelle fiabe: la Befana, come la strega, risparmia chi ha mangiato il cibo dei morti, perché lei stessa appartiene al regno dei defunti.

Comunque è da precisare che la Befana non è portatrice di morte reale: il collegamento esorta piuttosto a una morte rituale, simulata.
Occorre dunque morire per rinascere a uno stato diverso, per raggiungere un livello superiore.
Tutti i riti di ingresso nelle società segrete, i riti di transizione dall’adolescenza all’età adulta, celebrati dalle culture più arcaiche, prevedono fra le cerimonie questo passaggio, questa morte iniziatica necessaria per guadagnare una nuova condizione, un nuovo modo di essere e di vivere.

Ergane, immagine spazio x
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