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Numero 1/2017 Sarah Guerra

Empatia per combattere il bullismo

Insegnare l'empatia potrebbe essere il primo passo per una società più attenta e consapevole della propria responsabilità etica

L’empatia è la capacità di “mettersi nei panni dell’altro” percependo, in questo modo, emozioni e pensieri. È un termine che deriva dal greco, en-pathos “sentire dentro”, e consiste nel riconoscere le emozioni degli altri come se fossero proprie, calandosi nella realtà altrui per comprenderne punti di vista, pensieri, sentimenti, emozioni e “pathos”.
Freud nel 1921 ha detto che l'empatia è l'unico metodo attraverso il quale possiamo percepire una vita psichica diversa dalla nostra. Negli ultimi anni, nelle scuole danesi, si svolge un'ora di empatia a settimana con i ragazzi dai sei ai sedici anni, quella che in Italia viene invece dedicata all'insegnamento della religione. In quest'ora non si prevedono manuali o compiti a casa ma solo la condivisione, davanti a un pezzo di torta, delle problematiche comuni ed individuali all'interno della classe.
Si può dire che la nostra società, negli ultimi anni, sia diventata sempre più narcisistica ed autoreferenziale: la non capacità di entrare nel punto di vista altrui è la base per la nascita di fenomeni come il bullismo.
Spesso sottovalutato e visto come una "ragazzata", uno scherzo tra coetanei, il bullismo è un'azione di prevaricazione nei confronti di uno o più membri di un gruppo, messo in atto dal resto dei compagni o anche solo da un individuo. Sono comportamenti ripetuti nel tempo che coinvolgono non solo "il bullo" e la "vittima" ma anche gli spettatori di queste azioni di disturbo complici con il loro silenzio.
Di solito il bullo è un compagno piuttosto popolare tra i suoi coetanei con un forte senso di autoaffermazione, uno scarso controllo dell'istintività e una tendenza a comportamenti antisociali anche nei confronti degli adulti. Fa fatica a rispettare le regole ed è spesso violento e aggressivo. Il suo comportamento è rinforzato dai bulli passivi o dai gregari.
La vittima è spesso debole e con caratteristiche che possono renderlo oggetto di scherno per il resto dei gruppo dei pari (aspetto fisico, religione, orientamento sessuale).
Siamo di fronte a un soggetto ansioso, incapace di reagire alle provocazioni continue, spesso isolato dal resto dei compagni, che tende a negare l'esistenza del problema vergognandosi in prima persona delle prepotenze subite e temendo le conseguenze nefaste di una possibile reazione.
Gli osservatori, spettatori costanti di questo teatro di disagio, hanno ovviamente un ruolo chiave, dal momento che il loro ammiccare positivamente o meno al comportamento del bullo sarà o no rinforzo per queste pratiche.
È molto importante riconoscere e prevenire in tempo tali comportamenti, assolutamente dannosi per la crescita del bambino, considerando che sono di solito attuati nella fascia di età molto delicata dell'infanzia e dell'adolescenza. È anche erroneo pensare che le conseguenze negative coinvolgano soltanto il soggetto vittima di bullismo.
Per le vittime il rischio è quello di manifestare il disagio innanzitutto attraverso sintomi fisici (ad esempio mal di pancia, mal di testa) o psicologici (incubi, attacchi d’ansia), associati ad una riluttanza nell’andare a scuola. In caso di prevaricazioni protratte nel tempo, le vittime possono intravedere come unica possibilità per sottrarsi al bullismo quella di cambiare scuola, fino ad arrivare in casi estremi all’abbandono scolastico; alla lunga, le vittime mostrano una svalutazione di sé e delle proprie capacità, insicurezza, problemi sul piano relazionale, fino a manifestare, in alcuni casi, veri e propri disturbi psicologici, tra cui quelli d’ansia o depressione.
I bulli possono invece presentare un calo nel rendimento scolastico, difficoltà relazionali, disturbi della condotta per incapacità di rispettare le regole che possono portare, nel lungo periodo, a veri e propri comportamenti antisociali e devianti o ad agire comportamenti aggressivi e violenti in famiglia e sul lavoro.
Gli osservatori, infine, vivono in contesto caratterizzato da difficoltà relazionali che aumenta la paura e l’ansia sociale e rafforza una logica di indifferenza e scarsa empatia, portando i ragazzi a negare o sminuire il problema. (fonte: www.azzurro.it)
Abbiamo prima parlato di empatia, di narcisismo, di capacità o meno di immedesimarsi nello stato d'animo altrui.
L'educazione costante e precoce al dialogo tra pari, mediato dalla presenza degli adulti potrebbe essere un ottimo avvio per una prevenzione a monte di fenomeni di prevaricazione.
Il progetto nato in Danimarca è un investimento sulla società: un tentativo di educare l'individuo sin dalla più tenera età a capire lo stato d'animo altrui confrontandolo con il proprio. E' questo quello che manca nelle nostre scuole in cui spesso gli stessi insegnanti rinforzano certi stereotipi e conflittualità attraverso l'incoraggiamento della competitività sul rendimento scolastico (la classica divisione tra studenti "bravi" e "asini") o, semplicemente, il non intervento tempestivo rispetto a queste dinamiche coercitive tra i loro studenti.
La responsabilità etica è di ognuno di noi rispetto alla società, ma dovrebbe essere compito delle Istituzioni cercare di provare ad educare ogni singolo individuo, al di là della sua estrazione socio-culturale di appartenenza, alla conoscenza: ad avere gli strumenti di partenza per essere un bravo cittadino. Siamo i figli e il prodotto di ciò che ci circonda e proprio per questo insegnare l'empatia potrebbe essere il primo passo per una società più attenta e consapevole della propria responsabilità etica.
Il bullo di oggi potrebbe essere l'individuo con disturbo antisociale di domani. La vittima di oggi una persona infelice, con problemi di bassa autostima e depressione, da adulto. Lo spettatore silente bambino sarà l'adulto non cosciente del valore del suo intervento in situazioni cardine.
La responsabilità e la presa di coscienza del singolo dell'essere parte di un meccanismo in cui ognuno di noi può, con un piccolo gesto, influenzare ciò che ci circonda, è il primo passo per una crescita e un'evoluzione sociale senza sconti buonisti e giustificazionismi per azioni perpetrate con leggerezza. E' proprio questa leggerezza, il dare scarsa importanza ai piccoli stillicidi seriali all'ego di chi circonda a generare l'impotenza di fronte ad atti di violenza più grandi.
Il bambino, l'adolescente bullo, non andrebbe solo tutelato in quanto minore privo di coscienza. Così come lo spettatore silente non dovrebbe essere preservato nel suo timore di perdere desiderabilità sociale. Non sarebbe giusto nemmeno tutelare a priori la supposta "vittima" che in alcuni casi potrebbe farsi scudo del suo ruolo designato per ottenere accudimento e protezione. Ognuno dovrebbe essere messo nelle condizioni di sperimentare per un attimo il punto di vista altrui. Guardarlo. Immedesimarsi nella frustrazione del "figlio di papà viziato", del "ragazzo designato a diventare deviante in quanto di classe sociale bassa", del "terzogenito in una famiglia di sei figli, alienato in una posizione di invisibilità". Tutti abbiamo il diritto di sentirci poco accettati e tutti dovremmo avere il diritto di esternarlo, senza divenire schiavi predestinati del nostro ruolo sociale.
Dovremmo poter avere almeno la possibilità di uscire da ciò che gli stereotipi sembrano aver scelto per noi e non sentirci minacciati dalla nostra debolezza, coscienti e consapevoli di poterla confrontare, condividere e, magari, riderci anche su davanti a un pezzo di torta.

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